«Io perdono e chiedo perdono»

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Lipa, 30 aprile 2024, anniversario della strage
di Giovanni Giovannetti

Lipa 2024
Lipa 2024 Lipa 2024
Lipa 2024 Lipa 2024
Lipa 2024 Lipa 2024

Non so una parola di croato, ma a Lipa non importa, perché in questo villaggio istriano parlano anche le pietre. E raccontano le atroci sofferenze patite dai suoi trecento abitanti in un molto vicino 30 aprile 1944, quando vennero uccisi, tutti, per rappresaglia, dai nazisti tedeschi e dalle camicie nere italiane. A Lipa i nazisti e i fascisti non trovarono uomini, solo donne vecchi e bambini e li sterminarono senza pietà.
Questa è una storia che in Italia non si racconta, eppure ci riguarda: già il triste elenco dei numeri pone Lipa al quarto posto tra i cinquemila eccidi compiuti nel nostro Paese dai nazifascisti (Lipa viene subito dopo quelli di Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema e delle Fosse Ardeatine). Ma ci riguarda anche perché mostra il lato oscuro, razzista e criminale, del fascismo italiano del ventennio, di quel loro modo spiccio di trattare gli “allogeni”, gli “sc’iavi”, come se fossero una “razza inferiore”, dei “non umani”. Ci riguarda anche il rancore deflagrato, a fine guerra, nella resa dei conti degli “allogeni” contro chi, tra gli italiani d’Istria, la classe dominante, aveva indossato una qualche divisa o era stato partecipe di una qualsiasi funzione pubblica. E ci riguarda perché tutto questo è anche storia di oggi: di come la destra italiana (e non solo la destra) guarda agli immigrati, o di come in Cisgiordania i coloni estremisti israeliani trattano gli “allogeni” palestinesi (anche loro “razza inferiore”, anche loro “non umani”).
Il 30 aprile scorso a Lipa era il giorno del ricordo, ottant’anni dopo la strage. C’era molta gente, e c’era il presidente della Croazia Zoran Milanović. Chiudo gli occhi e per un momento vedo Milanović in controluce, mano nella mano con Sergio Mattarella. Vedo il presidente italiano inginocchiarsi davanti all’ultima casa del paese, quella del massacro più feroce: «io perdono e chiedo perdono», lo sento dire sottovoce.
Riapro gli occhi e Mattarella non c’e più: forse era un sogno.

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