Leonardo e Opicino

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Le similitudini tra la Pianta di Imola di Leonardo da Vinci e alcuni disegni di Opicino de’ Canistris da Lomello raffiguranti la struttura urbana di Pavia

di Giovanni Giovannetti

Leonardo mappa Imola

Opicino mappa Pavia

La Pianta di Imola è una superba rappresentazione planimetrica conservata tra le carte di Leonardo da Vinci presso la londinese Windsor Collection. Ma la sua paternità rimaneva dubbia, tanto che studiosi di fama come Fausto Mancini e Augusto Marinoni l’hanno creduta un’opera del lombardo Danesio Maineri – un abile ingegnere militare al servizio degli Sforza – e non di Leonardo. Ora però il geografo Andrea Cantile (che insegna cartografia all’università di Firenze) ha posto fine alla querelle, ascrivendola al Vinci: lo ha fatto il 20 aprile scorso proprio a Vinci in Toscana, tenendo la 63ª “Lettura vinciana”, indicandone la fonte teorica nel Descriptio urbis Romae di Leon Battista Alberti (1404-1472), uno tra i più grandi eruditi di quel tempo.

Il maestro

Come ha scritto Serge Bralmy, Alberti sembra infatti «il perfetto precursore di Leonardo; e ne è senz’altro il modello. Come lui figlio illegittimo, dotato anch’egli di bellezza e di forza fisica (salta a piedi uniti sulle spalle di un uomo adulto, lancia una moneta con tanta forza da farla arrivare nel punto più alto della volta del Duomo e così via), esperto cavaliere, brillante musico, si è fatto un nome in campo sia artistico che scientifico. Il Poliziano gli attribuisce un ingegno che ha del miracoloso; il suo epitaffio lo fregia del titolo di principe degli eruditi. Filosofo, architetto, scultore e pittore dilettante, ingegnere, matematico, a lui si devono la chiesa di Sant’Andrea di Mantova, la facciata di Santa Maria Novella a Firenze e il Tempio malatestiano di Rimini oltre a certi esperimenti sulla camera oscura, un’opera teatrale, i più antichi versi liberi della poesia italiana, la prima grammatica di lingua volgare, una scrittura segreta a lungo adoperata dalla Curia, un misterioso caleidoscopio in fondo al quale la luna e le stelle dominano un paesaggio roccioso, strumenti topografici per le immersioni subacquee, considerazioni sulla fabbricazione di orologi da tasca e soprattutto una voluminosa opera teorica scritta in forma di dialoghi alla maniera degli antichi e non priva di umorismo».

L’Anonimo ticinese

Leonardo da Vinci verga dunque la Pianta di Imola nel 1502, quando ha cinquant’anni, sulla scorta degli studi teorici dell’Alberti e piluccando spunti da altre fonti, come del resto era solito fare. La tradizione planimetrica urbana era infatti ben viva già in età romana, e di nuovo nel basso medioevo con la pianta di Talamone (1306) e quelle di Verona (1453-59) e di Vicenza, quest’ultima vergata da Petronio nel 1481. Ma negli anni trascorsi in Lombardia, Leonardo potrebbe aver visto anche le sperimentazioni topografiche e cartografiche dell’“Anonimo ticinese”, il lomellino Opicino de’ Canistris (1296-1353), una poliedrica figura di sacerdote nonché ecclesiologo, miniatore, calligrafo, astrologo e profondo conoscitore della tradizione pittorica medievale. Per un altro accreditato studioso vinciano, Gianni Carlo Sciolla, «ciò che colpisce in questi fogli [di Opicino] è la modalità della rappresentazione cartografica nell’intelaiatura complessiva e nei reali rapporti di distanza; i quali riconducono sorprendentemente alle rappresentazioni planimetriche ortogonali di Leonardo» come l’ormai celeberrima Pianta di Imola. E sono altresì evidenti talune similitudini tra quest’opera di Leonardo e alcuni disegni dell’“Anonimo ticinese” raffiguranti l’impianto urbano di Pavia dentro a un cerchio, come lo vediamo nella tavola 27 verso del suo Codex Vaticanus Latinus 6435. Quasi a dire che di questi suoi disegni, qualcosa al Vinci deve essere arrivato.
Scoperti nel 1913 e unici nel loro genere, questi fogli e pergamene di Opicino sono raccolti in quattro Codici prevalentemente illustrati (il Codex Ottoborianus Latinus 3064, il Codex Vaticanus Latinus 4115, il Codex Palatinus Latinus 1993 e il Codex Vaticanus Latinus 6435, quest’ultimo rinvenuto solo nel 1944) tutti conservati presso la Biblioteca apostolica vaticana.
Opicino è poi l’anonimo autore del Liber de laudibus civitatis ticinensis (1330), nitido punto di riferimento della storiografia pavese appuntata ad Avignone negli anni in cui il sacerdote ha operato presso la Corte papale.
Il Novecento sembra registrare la riscoperta del mondo simbolico di Opicino de’ Canistris. Sottratto all’anonimato dal sacerdote pavese Faustino Gianani nel 1927, i suoi miti solari sono stati argomento di una appassionata conferenza “a braccio” di Carl Gustav Jung (uno dei “padri” della psicanalisi) a Eranos in Svizzera nel 1943.

Pavia nei segni di Leonardo

Sul foglio 38 recto del Manoscritto B (il più “pavese” tra i quaderni di Leonardo, ora all’Institut de France), accanto alla scritta autografa «Modo de’ canali per le città», Leonardo tratteggia un immaginario sedimento urbano a “ramificazione venosa”, una città fluviale d’impronta romana attraversata da numerosi canali, tutti a convergere nel… «Tesino»: un «canale maggiore a ciò si possi a un bisogno mandare tutto il fiume per questo, cioè quando è tropo grosso, e serrare l’altre entrate; e questo non riesca in nessuno altro canale», scrive Leonardo. La rete dei canali poggia sopra al reticolo ortogonale della forma urbis romana: è un disegno stratificato “alla Opicino”. Sulla destra del foglio Leonardo scrive: «Vuolsi tore fiume che corra, aciò che non corrompessi l’aria alla città, e ancora sarà comodità di lavare spesso la città, quando si leverà il sostegno sotto a detta città e con rastelli e recisi removerà il fango in quelli moltiplicato che si misc[h]ierà coll’acqua facendo quella torbida; e questo si vorrè fare ogni anno una volta». Quella «comodità di lavare spesso la città» che a Pavia sino all’altro ieri era assolta dal corso d’acqua della Carona interna. Penetrando da un bocchello nei pressi del bastione di Santo Stefano (oggi chiamato la Rotonda) alimentava canali irrigui, mulini e ortaglie, declinandosi poi in versatile strumento per laboratori artigianali o per opifici. Passando da un cunicolo sotterraneo queste acque erompevano dai tombini e pulivano la principale via cittadina finendo poi in Ticino. Proprio come nel ricordo di Leonardo, che se l’appunta, forse pensando di farne buon uso nel dare forma alla sua avveniristica “città ideale”.

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