I Lampada

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di Giovanni Giovannetti

I fratelli reggini Francesco e Giulio Lampada sono vigevanesi d’elezione. A Milano possiedono bar e gestiscono Slot Machine. Non sono affiliati, ma conoscono bene i metodi mafiosi e le regole di ‘Ndrangheta: fra l’altro usano cellulari intestati a cinesi e ogni mese bonificano auto e appartamenti dalle microspie. Una informativa dei Ros di Reggio Calabria li indica quali «braccio finanziario della cosca Cordello» detto il Supremo.
Siamo alla “politica dei matrimoni”, volta a formare un coeso “organismo collettivo” forte economicamente: dopo le nozze tra Leonardo Valle e Maria Concetta Lampada (sorella di Francesco e Giulio, il 20 aprile 1991), il 15 luglio 2006 Francesco sposa Maria Valle, la figlia di Fortunato, nipote di don Ciccio. Tra gli invitati alle nozze figurano personaggi di alto lignaggio mafioso: oltre ai Cordello, ci sono i Papalia, Giovanni Barillà, Paolo Martino… (lo spettacolare matrimonio di mafia è raccontato da Gianni Barbacetto e Davide Milosa in Le mani sulla città, Chiarelettere 2011, pp. 30-34. Si veda anche, di Ballone, Gariboldi e Satta, Pizza Sangue e videopoker, pp. 106-08).
Francesco e Maria entrano in carcere il 1° luglio 2010, e con loro l’intero clan dei Valle. In totale sono 14 persone, accusate di associazione mafiosa finalizzata «a commettere estorsioni, usure, abusivo esercizio di attività finanziaria, intestazione fittizia di beni, fondi attraverso l’esercizio di videogiochi, acquisire la gestione di attività economiche nel settore edilizio, immobiliare, ristorazione, acquisire appalti privati, ostacolare il libero esercizio del voto, realizzare profitti e vantaggi ingiusti» (Ordinanza, 25 giugno 2010).
Nel frattempo, 8 giugno 2008, il battesimo del figlio di Giulio Lampada e Giuseppa Zema è stato celebrato nientemeno che in Vaticano a riprova, scrive Carlo E. Gariboldi, dei loro buoni anzi buonissimi rapporti con qualche importante prelato: Giulio è Cavaliere di San Silvestro in Vaticano, per nomina dell’ex segretario di Stato cardinal Tarcisio Bertone. Come scrive il Gip milanese Giuseppe Gennari, «Anche in Vaticano si allungano le mani della famiglia mafiosa e come spesso accade questo mondo rimane fuori dall’area della punibilità. Carenza di fattispecie incriminatorie idonee non consentono di punire personaggi dei quali non si riesce a dire che siano organici all’associazione ma che sicuramente offrono sponde essenziali (palesemente consapevoli) per la crescita economica e sociale del gruppo mafioso». (Ordinanza, novembre 2011)
Dopo gli arresti del luglio 2010, Giulio Lampada si associa a Leonardo Valle nella International Games. I due continuano a gestire i bar e le Slot Machine, aumentando anzi l’offerta di altri 1.200 pezzi, mantenendosi così lontani dai problemi economici: «vedi qua?» riferisce Lampada in una intercettazione: «ho una chiavetta nera e ho praticamente un centinaio di sportelli bancomat disposti tra Milano e provincia. Tu dici, che sono questi sportelli bancomat? È la chiave del cambiamoneta, ti faccio un esempio, stasera sono con te e mi serve del contante, 1.000 euro, vado in uno dei bar, apro e me li prendo, così».
La Procura milanese ha stimato da 20 a 40.000 euro l’incasso quotidiano, grazie a schede taroccate. A rivelare il “metodo Valle” alla Dda provvede Domenico Bettinelli, un consulente aziendale di Como indebitato con questi usurai. Infatti Bettinelli «finisce nelle maglie della famiglia per un prestito chiesto per tamponare una disavventura lavorativa. Così, nell’ottobre 2005, Fortunato Valle gli consegna 20.000 euro. Ogni mese, per sei mesi, il malcapitato restituisce 4.000 euro. In tutto fanno 24.000. Ma, secondo il sistema-Valle, in questo modo si sono restituiti solo gli interessi. Manca il capitale. Bettinelli non ce la fa più. Fortunato capisce che non ha a che fare con il solito piccolo impresario edile, ma con una persona abile negli affari» (Ballone, Gariboldi e Satta, Pizza Sangue e videopoker, p. 117).
Fortunato propone allora a Bettinelli di lavorare per Europlay (settore noleggio e commercio di New slot) con sede proprio nel bunker del clan a Cisliano. Stando alla sua deposizione al processo, i Valle alteravano «i collegamenti e i software delle macchinette all’insaputa dei titolari dei bar. Il meccanismo è semplice, anche se tecnicamente complesso: le slot vengono scollegate dalla rete gestita dall’Agenzia delle entrate e viene sostituita la scheda madre con una clonata. Poi però bisogna avere amici tra chi fa controlli. Per questo viene attivata una fitta rete corruttiva che porterà in carcere diversi finanzieri molto ben retribuiti dal clan» (Ballone, Gariboldi e Satta, Pizza Sangue e videopoker, p. 118): tra il novembre 2011 e il gennaio 2012 la Procura milanese arresta il maresciallo della Guardia di Finanza Luigi Mongelli e i finanzieri Michele Di Dio, Michele Noto e Luciano Russo: in un anno e mezzo avrebbero intascato dai Valle-Lampada 720.000 euro.
Alti prelati, professionisti, magistrati, finanzieri. Giulio Lampada frequenta i salotti buoni della Milano filo berlusconiana, mantenendo entrature a più livelli: “aiuta”, lusinga, corrompe… A libro paga troviamo persino il giudice civile di Palmi Giancarlo Giusti, da lui foraggiato con viaggi, alberghi di lusso, prostitute in cambio di favori immobiliari. Secondo il Gip Gennari, questa è la «temibilissima terra, dai confini poco definiti, in cui la mafia si intrinseca con l’imprenditoria, con la politica, con la borghesia cittadina» a cui Giulio suadentemente «si presenta come l’imprenditore in carriera, che finanzia eventi politici a livello nazionale».
E ci casca Gianni Alemanno: nell’aprile 2008 al romano Cafè de Paris in via Veneto (di proprietà della cosca Alvaro di Sinopoli) il futuro sindaco ringrazia pubblicamente «il gruppo Lampada, solido gruppo industriale a Milano, e il dottor Vincenzo Giglio», magistrato “antimafia” a Reggio (delegato al sequestro dei beni mafiosi), arrestato nel dicembre 2011 con l’accusa di corruzione, rivelazione di segreti d’ufficio e favoreggiamento personale aggravato dopo aver girato al clan informazioni sulle indagini in corso («e noi in un angolino ringraziavamo con la mano», ironizzerà Lampada).
Un altro passo indietro. 26 maggio 2006: al ristorante-discoteca milanese Le Barque, a due passi dal Duomo, Letizia Moratti tiene il gran finale della sua campagna elettorale quale candidata sindaco della città: «c’è il suo staff al gran completo; ci sono tanti amici e sostenitori. Tra questi c’è Armando Vagliati, consigliere comunale di Forza Italia fin dal 1997, membro della segreteria cittadina del partito. E c’è Giulio Lampada con sua moglie, Giuseppa Zema. La coppia conosce bene Vagliati, tanto da aver passato parte del pomeriggio di quel venerdì 26 maggio proprio nella sede del suo comitato elettorale in via Palma». Tra gli accompagnatori di Vagliati c’è anche Domenico Mollica, «segnalato già nel 1977 dalla Criminalpol di Milano come associato a uomini della ’Ndrangheta sospettati di trafficare stupefacenti» (G. Barbacetto-D. Milosa, Le mani sulla città, pp. 27-30).
Giulio Lampada è in ottimi rapporti con l’allora segretario provinciale Udeur Alberto Oliverio; conosce anche il consigliere regionale Pdl della Calabria Francesco Morelli. Contemporaneamente, riferiscono gli inquirenti, «mantiene i contatti con le famiglie mafiose di Reggio Calabria», in particolare con lo zio Giacinto Polimeni.
Lampada punta in alto: vuole diventare concessionario dei Monopoli. A tale scopo, scrivono i giudici, «Morelli mette in campo un’azione di lobbyng in cui grazie alle sue entrature politiche sponsorizza un progetto di cui il primo beneficiario è lui stesso».
Su ordine del Gip Giuseppe Gennari, Morelli e Lampada sono arrestati il 30 novembre 2011. Secondo il Gip, Morelli si sarebbe incontrato più volte con Giulio e suo fratello Francesco in Calabria a Milano e a Roma, sia «per questioni legate alla concessione a livello nazionale dei Monopoli sia per questioni elettorali in vista di competizioni nazionali e locali». Morelli mantiene anche quote «in società facenti capo ai Valle-Lampada». Nel merito, scrive il Gip, il politico calabrese detiene il 10 per cento dell’Andromeda Srl «per l’esercizio del Punto.it e del gioco legale a distanza, che svolge attività connesse a lotterie e scommesse», oltre a una quota analoga in Orion Service Srl e in Pegasus Srl, società di cui è amministratore Giuseppa Zema (moglie di Giulio Lampada), tutte costituite il 19 novembre 2009. Morelli se ne libera nel settembre 2010, due mesi dopo la cattura di Giuseppe Lampada, «all’evidente scopo – osserva il Gip – di non essere coinvolto in alcun modo nelle vicende giudiziarie indicate».
Insomma, conclude Gennari, «se le infiltrazioni sono già una realtà conclamata nel mondo dei gestori, qui si è corso il rischio di vedere, a fianco della Snai o altri soggetti simili, una banda di mafiosi gestire le scommesse su incarico dello Stato. La vigilanza in questi campi si dimostra del tutto assente».
Così come a Napoli, città da cui Renato Grasso detto ‘o Presidente gestiva oltre 4.000 slot su tutto il territorio nazionale (una quota pari al 2,5 per cento del mercato) arrivando a stipulare contratti e a ottenere concessioni direttamente da Sisal, Lottomantica, Monopoli di Stato (si veda, di Giovanni Tizian e Fabio Tonacci, La rete del videopoker. 200mila slot truccate nelle mani delle mafie, “La Repubblica”, 22 febbraio 2013). Secondo il tribunale di Santa Maria Capua Vetere che lo ha condannato in primo grado a 14 anni di reclusione, Grasso era in rapporti con il clan dei Casalesi.
Tra gli interessi della criminalità organizzata, il gioco d’azzardo resiste nell’elenco dei settori di punta. Non a caso l’annuale Relazione della Commissione parlamentare antimafia 2010 lo afferma quale «nuova frontiera» per il riciclaggio del denaro sporco, ricordando che «l’Italia è tra i primi cinque Paesi al mondo per volume di gioco», con un fatturato pari al 3 per cento della ricchezza nazionale. E sono i dati del gioco legale, «destinati ad impennarsi se si guarda anche al gioco clandestino».
La “piovra” interviene sull’intera filiera: gestione di apparecchi, sale giochi a conduzione diretta o affidate a prestanome, società di produzione delle schede elettroniche come, ad esempio, la Arcade srl, controllata da Nicola “Rocco” Femia (tra suoi clienti l’International Games dei Valle/Lampada). Lo arrestano il 23 gennaio 2013, l’Ordinanza di carcerazione lo indica quale «affiliato alla cosca Mazzaferro di Marina di gioiosa jonica». All’imprenditore calabrese vengono sequestrate 1.500 Videolottery distribuite al centro-nord sul mercato regolare: alcune sono taroccate; quasi tutte sono scollegate dalla rete di Sogei e dunque invisibili al fisco. Come hanno potuto accertare i periti (smontando due slot contraffatte a Cerveteri e a Torino), «su 33 euro inseriti, gli apparecchi ne conteggiavano solo 15». Un vero affare (G. Tizian-F. Tonacci, La rete del videopoker, “La Repubblica”, 22 febbraio 2013). Nel 2012 la Guardia di Finanza ha sequestrato 2.600 apparecchi illegali).
Dopo la disordinata legalizzazione del gioco d’azzardo con Slot Machine,(legge n. 209 del 27 dicembre 2002) le New slot rappresentano ormai più della metà del volume d’affari. Secondo una stima della Guardia di Finanza, in Italia nel 2006 si contavano tra le 100 e le 200.000 New slot abusive (circa la metà del numero totale), ossia non connesse al sistema informatico di controllo gestito da Sogei. I dati ufficiali dell’Amministrazione autonoma monopoli (Aam) indicavano in 15 miliardi e 400 milioni il fatturato “legale” del settore. E quello illegale, all’epoca, ammontava a oltre 43 miliardi, per un utile di 10 miliardi.
Pochi controlli? Scarsa tracciabilità? Sogei fa capo al Ministero delle Finanze ed era tenuta a vigilare sul corretto uso di Slot e Videopoker. Non lo ha fatto, già che dal 2004 al 2007 gli apparecchi collegati in rete erano pochi e più della metà non ha mai trasmesso dati. Secondo i magistrati contabili della Corte dei Conti, la defezione «ha permesso una rilevante evasione fiscale» e ha impedito l’individuazione di eventuali raggiri delle norme anti-riciclaggio.
E ora? Stando a una Relazione del Ministero dell’interno (maggio 2011), «le scommesse clandestine e le Sale Bingo» sempre più rappresentano «settori di interesse per la criminalità organizzata, sia per quanto riguarda le infiltrazioni nelle società di gestione delle Sale giochi – che si prestano ad essere un facile veicolo di infiltrazioni malavitose e di riciclaggio – sia per quanto riguarda le società concessionarie della gestione della rete telematica, dove si è assistito a un duplice fenomeno: da un lato l’aggiudicazione a prezzi non economici di talune concessioni, e dall’altro, al proliferare di punti scommessa – i cosiddetti “corner” – alcuni dei quali chiaramente inseriti in una rete territoriale dominata dalla presenza di un circuito criminale». Dunque, come si rileva nella Relazione 2010 della Direzione nazionale antimafia, «per i notevoli introiti che assicura a fronte di rischi “giudiziari” relativamente contenuti» il gioco è «ormai diventato la nuova frontiera della criminalità organizzata di stampo mafioso», seconda solo al narcotraffico, la prima nel riciclaggio.
Il Financial Action Task Force / Groupe d’Action financière indica i casinò, le lotterie, le sale gioco, gli uffici di cambio, gli uffici di trasferimento fondi, i servizi per l’incasso degli assegni, i corrieri, i grossisti di gioielli e di pietre preziose, i venditori di opere d’arte quali potenziali «intermediari finanziari non tradizionali», ovvero le sedi privilegiate per operazioni di occultamento (www.finma.ch/archiv/gwg/i/aktuell/pdf/broi.pdf)
Si ricicla anche al “dettaglio”. Nel Rapporto 2012 della Commissione si cita il metodo adottato dalla famiglia camorrista Amato, «divenuto monopolista nel settore dell’installazione e gestione di videogiochi negli esercizi pubblici della provincia di Caserta […] il clan aveva attuato uno stretto controllo del territorio, attivando una sorta di vigilanza, anche armata, dei locali in cui erano installate le macchine ed aveva anche provveduto ad alterare i sistemi di gioco: attraverso computer remotizzati, il clan riusciva a monitorare lo stato delle giocate, a controllare gli hopper [i contenitori di denaro nei cassoni delle macchinette], sapendo così quale macchina fosse sul punto di erogare la vincita e riuscendo ad impadronirsene, impedendo la vincita ad utenti esterni».
La Commissione d’indagine Grandi [Commissione d’indagine per la verifica della regolarità e della trasparenza delle procedure di rilascio delle autorizzazioni relative ad apparecchiature e congegni da divertimento ed intrattenimento, e per l’analisi del funzionamento dei meccanismi, anche tecnologici, volti a garantire la regolarità dei giochi” istituita dal Ministero dell’Economia durante il secondo Governo Prodi e presieduta dal sottosegretario Alfiero Grandi], nel 2007 ha potuto verificare il mancato versamento di diritti erariali per 98 miliardi di euro (equivalenti a quattro manovre finanziarie “salvaitalia”) da parte delle dieci società concessionarie in Italia delle New slot tra il 2004 e il 2006. Una sentenza della Corte dei Conti le ha condannate al pagamento di “soli” 2,5 miliardi di euro, riducendo così il dovuto del 95 per cento (Corte dei Conti, sentenza n. 214/2012).
Una lobby del gioco d’azzardo? La penale più alta – 845 milioni – è dovuta da Bplus Giocolegale Ltd, filiale italiana della multinazionale Atlantis World (ha sede nel paradiso fiscale di Saint Maarten, nei Caraibi), società che ha – o per meglio dire, aveva – in carniere il 30 per cento del mercato nazionale. Infatti, nell’ottobre 2012 i Monopoli hanno ritirato la licenza ad Atlantis Word, così che a Bplus non è stata rinnovata la concessione: era controllata da Francesco Corallo, figlio di Gaetano Corallo, sospettato di essere un affiliato al clan catanese di Nitto Santapaola, nonché coinvolto nella scalata dei casinò di Sanremo e Campione d’Italia, e per lungo tempo latitante all’estero. Aggirando il sistema di controllo della Sogei, Giocolegale avrebbe collocato in un solo esercizio pubblico a Torre di Archirafi presso Catania ben 26.858 apparecchi non collegati al sistema «tutti insieme e nella stessa data», tutti formalmente stipati nei 50 metri quadri del bar “15 giugno” (in paese ne ricordano 5 o 6), nella realtà disseminati per l’Italia a procurare incassi in nero, «un vero “magazzino virtuale” sfruttabile per la raccolta di gioco illegale» (Relazione della Commissione Grandi, p. 4; Paolo Grecchi, Al bar del paese una montagna di videopoker, “Il Secolo XIX” 31 maggio 2007).
New slot, Videolottery, Lotto, scommesse Big Match, Gratta e vinci, Bingo a distanza, Superenalotto, scommesse ippiche e sportive… la rete legale del “sistema gioco” è la terza industria del Paese, con un fatturato – euro più euro meno – di circa 85 miliardi. La spesa in Italia per il gioco d’azzardo è passata dai 14,3 miliardi di euro incassati nel 2000, ai 18 del 2002, ai 24,8 raccolti nel 2004, ai 28 del 2005, ai 35,2 miliardi di euro nel 2006, ai 42 del 2007, ai 47,5 miliardi del 2008, ai 54,4 del 2009, ai 61,4 del 2010, ai 79,9 miliardi di euro del 2011, a un’ulteriore crescita per il 2012 che ad oggi si stima essere intorno agli 85 miliardi di euro. Di fatto, sui 79,9 miliardi di euro giocati nel 2011, 61,5 sono tornati in qualche modo ai giocatori, mentre i 18,4 miliardi sono quelli che tutti gli italiani hanno definitivamente perso al gioco d’azzardo; un po’ meno della metà di questa somma è andata allo Stato, la restante parte alla filiera dell’industria del gioco d’azzardo. Con 18,4 miliardi di euro persi al gioco nel solo 2011, l’Italia detiene il 4,4 per cento del mercato mondiale di perdite, pur avendo solo l’1 per cento della popolazione mondiale. (Emanuela Stella, Gioco d’azzardo, l’appello alla politica 
contro la «fabbrica delle illusioni», “La Repubblica”, 14 febbraio 2013)
Anni fa destò scalpore la notizia che Pavia ne era la “capitale”, per numero di macchinette e spesa pro capite media di 1.364 euro per ogni abitante sopra i 15 anni, più del triplo della media nazionale. Correva l’anno 2007. Altri tempi. Ormai a Pavia si conta una macchinetta mangiasoldi ogni 132 persone e nei dodici mesi si giocano mediamente 2.900 euro tra scommesse, Gratta e vinci e Slot machine, ovvero 589 milioni di euro (avete capito bene: oltre mezzo miliardo in euro), cifra in progressiva crescita, quando la già elevata media nazionale è intorno a 1.200.
Nell’ottobre 2012 è finalmente approvato il Regolamento comunale su gioco e ludopatie, ma a danno ormai fatto, preceduto da nuove licenze e trasferimenti d’esercizio. Meglio tardi che mai, si dirà; anche se una delle più ampie sale gioco cittadine ha sede nell’ex mercato coperto, sotto la centralissima piazza della Vittoria, in locali di proprietà del Comune; anche se – molti mesi dopo il corteo anti-slot del 9 giugno 2012, con vescovo e sindaco in prima fila – le pensiline e gli autobus del trasporto pubblico ancora ospitavano le pubblicità del gioco d’azzardo.

3 Risposte to “I Lampada”

  1. Anonimo Says:

    E a Pavia? Cosa mi dici di quella società di slot machines che si fa la pubblicità sul giornale di Filippi? A proposito, che fine ha fatto lui? E’ da un po’ che non si sente più. Che abbia giudicato prudente tagliare la corda, dopo che hanno messo nel gabbio qualche suo amico e dopo che altri sono stati rinviati a giudizio?

  2. ggiovannetti Says:

    Su Royal Games e Giovanni Demaria mi sono dilungato in altri post (ad esempio, qui: https://sconfinamento.wordpress.com/2012/04/10/lazzardo/). Quanto al Filippi (di cui Demaria è mero prolungamento in consiglio comunale), prova a chiedere a “Chi l’ha visto”. Sia mai che mi abbia infine dato retta… (https://sconfinamento.wordpress.com/2012/06/14/un-gommone-per-durazzo-solo-andata/)

  3. Simone Says:

    Abbiamo in Pavia oggi 576 newslot e 66 VLT. Abbiamo setacciato tutti i bar… quindi 1 demone di ferro ogni 110 abitanti.
    Grazie bell’articolo

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