TAV, ovvero Truffa ad Alto Valore

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di Paolo Ferloni

In Val di Susa, dopo la grande manifestazione No TAV di sabato 25 Febbraio, la protesta pacifica di un esponente del movimento finisce in modo tragico: salito su un traliccio, minacciato ed incalzato da un inseguitore, non si sa di quale arma, il giovane è folgorato, cade ed è ora ricoverato in condizioni gravi. E il 29 febbraio numerosi militari hanno tolto di mezzo i blocchi stradali e autostradali, spazzando via resistenti non violenti.
Luca Abbà ha testimoniato fino in fondo la sua volontà di resistenza passiva, pacifica e lucida per difendere la Val di Susa da quella occupazione militare che sembra ormai l’ultimo strumento capace di attuare la grande truffa della TAV Torino-Lione, un imbroglio a lungo e meticolosamente premeditato ai danni in particolare di italiani e di francesi, ma anche degli europei più in generale. Due domande si affacciano spontanee: perché polizia e militari possono essere usati per truffare il Paese? E perché ci si può permettere di definire “truffa” il progetto e la grande infrastruttura in questione?
Basta ripercorrere la storia dell’Alta Velocità ferroviaria in Italia e nel mondo (presentata con una succinta sintesi da Wikipedia) per rendersi conto che da un lato varie linee di TAV in diversi Paesi hanno attuato e rappresentano una scelta lungimirante nel senso che servono alla mobilità di grandi masse di persone su lunghi percorsi, in competizione vincente con le linee aeree corrispondenti e col traffico su gomma.
Ad esempio in Italia la linea Milano-Roma, e in Francia quella Parigi-Lione, sono fortemente competitive con l’aereo, che ha perso una consistente percentuale di viaggiatori: fenomeno positivo, dato che si sprecano più risorse alzando un aereo in volo che facendo muovere un treno.
D‘ altro lato però ci sono percorsi e geografie dove il TAV non serve proprio a nulla, o perché c’è già una linea normale, anzi antica e ben inserita nel paesaggio, come quella della Val di Susa, che basterebbe riqualificare con interventi relativamente modesti, oppure perché il vantaggio portato dall’Alta Velocità non è stato finora dimostrato né appare dimostrabile, come nel tratto Genova-Milano o in quello del tunnel per il TAV sotto la città di Firenze.
Il caso del percorso da Torino a Lione è stato descritto in numerosi lavori: basti vedere ad esempio in internet il rapporto riguardante La linea ad Alta Velocità e Alta Capacità Torino Lione, sotto il titolo TAV, TAC, forse non tutti sanno che…, reperibile sul sito del Comitato “Spinta dal Bass”.
Vi sono esposte le vicende del progetto dagli inizi nel 1988-1990 fino agli anni recenti. Si apprende, tra l’altro, che già nel 2001, quando la Presidente della Provincia di Torino era la economista ambientale Mercedes Bresso dei DS, il rapporto di Polinomia per la comunità Bassa Val Susa stroncava i termini di fattibilità e di ritorno economico dell’opera. La stessa fattibilità veniva smentita dalla società francese Setec-Economie a cui la CIG, Commissione Inter Governativa Italo-Francese, aveva affidato uno studio di valutazione economica tramite Alpetunnel, società creata nel 1995 per definire modalità dei finanziamenti e gestione del tunnel, a seguito del primo accordo firmato tra i ministri di Berlusconi e Mitterrand nel 1995 per finanziare gli studi di fattibilità.
Ad Alpetunnel subentra un’altra società a partecipazione italo-francese per portare a termine gli studi, i sondaggi e i progetti, la Lyon Turin Ferroviaire, mentre nel frattempo il governo Berlusconi Bis vara la Legge Obiettivo (Legge 443 del 21 dicembre 2001) per finanziare e realizzare le opere pubbliche definite «strategiche e di preminente interesse nazionale» semplificando le procedure di verifica ambientale e tagliando fuori dalla concertazione tutti gli enti locali.
Coincidenza curiosa, del tutto italiana, da notare: l’Unione Europea approva il 27 giugno 2001 la direttiva 2001/42/CE sulla Valutazione Ambientale Strategica (V.A.S.) per imporre «che determinati piani e programmi che potrebbero avere effetti significativi sull’ambiente siano sottoposti a una valutazione ambientale» mentre a Roma subito dopo il governo di Berlusconi, Castelli, Lunardi, Matteoli e Scaiola prepara e fa adottare la Legge Obiettivo. Forse a loro insaputa la V.A.S. era entrata in vigore a Bruxelles il 27 luglio 2001? O magari quei ministri furbetti avranno pensato di evitare ogni fastidiosa critica di origine locale ai progetti del governo centrale? Anzi, per la V.A.S., campa cavallo: la si sarebbe dovuta recepire entro l’ anno 2004 e invece la combriccola di Governo la ritarda fino al D. Lgs. 152 del 3 aprile 2006, giusto alla fine della legislatura.
Ovvio che a nessun funzionario ministeriale o a qualche esponente politico del nostro governo sia mai venuto in mente di far eseguire la V.A.S. sui progetti della TAV in Val di Susa. Appare dunque una smaccata bugia che per l’opera sia «stato aperto un tavolo politico per il confronto con gli enti locali e un osservatorio tecnico per l’ analisi dei problemi», come si legge ne “La Repubblica” del 29 febbraio 2012 a pag. 15, nella colonna delle opinioni “favorevoli”. Non è nemmeno vero quanto detto nel manifesto «La TAV serve» da due deputati del Pd – Giacomo Portas e Stefano Esposito – cioè che «un lungo confronto ha ormai accertato la necessità dell’opera, come ribadito dalla Commissione Europea nel 2011 e dall’accordo Italia-Francia del gennaio di quest’ anno».
Un’avvertenza: chi fosse poco interessato a valutazioni tecniche e ambientali, è meglio non affronti l’articolo di Mario Cavargna, ingegnere ambientale e presidente di Pro Natura Piemonte, nel sito informarexresistere, dal titolo 150 motivi per dire NO alla TAV, lettura abbastanza impegnativa, che potrebbe invece deliziare qualche sobrio professore del governo Monti.
Però se interessano almeno i soldi in gioco, cioè le valutazioni economiche, converrebbe dare uno sguardo ai lavori di ricercatori del Politecnico di Milano e del Politecnico di Torino che negli ultimi anni si sono dedicati a studiare e a cercar di capire se la TAV Torino-Lione apporti all’Italia e alla Francia dei vantaggi economici o no. Cioè se dietro le solite etichette di “crescita” e “sviluppo” ci sia qualche dato economico favorevole o se si tratti di scenari di fede o di speranza, virtù teologali utili al credente ma irrilevanti nel caso pratico.
Ad esempio Paolo Beria e Raffaele Grimaldi, del Dipartimento di Architettura e Pianificazione di Milano, in un articolo pubblicato in ottobre 2011 e ripreso e citato nel febbraio 2012 dal Sole-24Ore e da altri, rilevano che in Italia «tutte le future estensioni […] sembrano essere sempre più marginali rispetto alla linea dorsale Milano-Roma». Cioè, come accennato sopra, l’Alta Velocità e l’Alta Capacità tra Torino e Lione non porterebbero vantaggi economici in futuro, ma soprattutto spese.
Anche “The Economist“ da Londra condivide questo scetticismo, appoggiandosi sui dati del traffico ferroviario nella geografia del Regno Unito e sul fallimento economico dell’aereo supersonico anglo-francese Concorde, per dire che l’alta velocità in sé è ingannevole e non serve alla gente. Come retropensiero un cittadino inglese non può non avere presente la pessima esperienza del tunnel sotto la Manica, disastro progettato e condiviso (come il Concorde) con quelli che un tempo per il britannico medio erano gli antipatici e odiati francesi. Nelle isole britanniche il treno super veloce appare dunque troppo costoso sia economicamente sia da vari punti di vista ambientali.
Infine un ricercatore del Politecnico di Torino, Angelo Tartaglia, presenta così il conto economico inteso a valutare le possibilità di avere un ritorno dalla realizzazione di un nuovo collegamento ferroviario veloce tra Torino e Lione: «includendo i costi di manutenzione e gestione della nuova linea e gli oneri finanziari, da un lato, e valutando in termini economici i benefici ambientali, dall’altro, è emerso che per raggiungere una soglia minima di economicità il nuovo collegamento dovrebbe ospitare flussi di traffico decine di volte superiori a quelli correnti ed anche alla punta massima lungo la direttrice, verificatasi nel 1997».
Non appare quindi nemmeno possibile, in queste condizioni, valutare l’eventuale vantaggio ambientale che il Treno ad Alta Capacità permetterebbe se si sostituisse gran parte del trasporto di merci su gomma con il trasporto ferroviario, perché per entrambi non si profila all’orizzonte un incremento sostanziale, né a breve, né a medio, né a lungo termine. Ecco perché di truffa si tratta.
Pare poi che i pareri favorevoli a TAV e CAV valutino in misura eccessivamente ottimistica il contributo finanziario dell’Unione Europea ed i costi dell’intera iniziativa, ma non abbiano considerato gli studi fin qui citati né abbiano ancora trovato risposte agli interrogativi qui avanzati.
In conclusione sembra che le iniziative di progettazione e costruzione di grandi infrastrutture, e le relative tecniche di governo introdotte con la Legge Obiettivo, non servano affatto a far progredire civilmente il Paese, ma soltanto ad imporre, a cittadini che amano la loro terra, scelte centralistiche prive di motivazioni necessarie e sufficienti, alle quali è facile e ovvio fare opposizione. Pure facile è prevedere che analoghe contestazioni si oppongano agli altri progetti di TAV che gli studiosi possono definire “marginali”. E usare la forza pubblica per imporre una truffa, sia pur pubblica, non ha senso.
Recepire subito, fin dal 2001, in concreto e in modi rispettosi delle autonomie locali, la Valutazione Ambientale Strategica, applicandola correttamente secondo i criteri proposti dall’Unione Europea sarebbe stato di gran lunga più saggio e forse più proficuo, sia per una convivenza civile più serena sia sotto il profilo dei vantaggi economico e ambientale.
Non lo si è fatto, come non si è fatta una seria valutazione d’ impatto ambientale prima di costruire l’autostrada e il tunnel del Fréjus, né sono state coinvolte nei progetti le popolazioni locali, come invece pare abbia fatto il governo francese per la propria parte del tracciato. Dal punto di vista ambientale, la Val di Susa è stata danneggiata, come può facilmente vedere ogni turista di passaggio.
Non c’è da meravigliarsi dunque se la gente sia stanca dei costi ambientali ed economici già sostenuti e, non vedendo davanti a sé un roseo futuro, rifiuti quelli del malgoverno che restano da pagare: costi sociali, culturali, tecnici e politici.

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