Il Ciancia

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di Giovanni Giovannetti

Attorno al corpo straziato di Pasolini, la mattina dopo sembrano abbondare gli sciacalli. In una fotografia di Antonio Monteforte – scattata quel 2 novembre 1975 e riproposta dal “Manifesto” il 23 luglio 2016 – Aldo Colonna riconosce più d’un appartenente alla malavita romana: Pasquale Esposito, «un elemento ambiguo coinvolto in una storia analoga a quella della “Uno” bianca non ancora completamente scritta»; Dante Filacchione, «ufficialmente responsabile di una biblioteca periferica verosimilmente usata come copertura di attività criminali, sposato con Anna Maria Cavola, figlia di un ex dirigente Eni (il nome di Cavola sarà presente in una lista di 120 nomi in possesso di Pasolini)»; Nicolino Selis, camorrista “cutoliano”, altro cliente dell’avvocato Rocco Mangia (quello che la P2 mette a disposizione di Pelosi) «evaso o fatto uscire da Regina Coeli il 27 ottobre, ripreso o rientrato il 6 novembre ed evaso il 10 successivo» (come “Johnny lo zingaro”, altro possibile massacratore: scarcerato il 30 ottobre, torna in cella il 6 novembre); Massimo Barbieri e Maurizio Abbatino detto “Crispino”, due futuri componenti della banda della Magliana. E c’era l’“Albino”, sodale di “Scimmietta” (quest’ultimo era forse presente la notte prima, alla guida di una ennesima Alfa Romeo, a sommarsi con le auto di Pinna e Pasolini). Infine, «quello che abbiamo ritenuto per molto tempo un poliziotto in borghese, in primo piano con il giubbotto di pelle nera nell’atto di accendere una sigaretta, è invece il Ciancia», legato ai servizi segreti, elemento di spicco della mala di Trastevere.
A “Crispino” il capo del Sismi Giuseppe Santovito era solito inoltrare benauguranti saluti. La sua presenza tra il pubblico dell’Idroscalo era già stata segnalata da Carmelo Abbate in Bolero (Piemme, 2014), romanzo-verità che vede protagonista uno dei ragazzetti a sinistra nella foto: è il sedicenne Umberto Cicconi, nipote del boss della vecchia “mala” Ernesto Cicconi detto “Bolero”, i cinque punti della malavita tatuati sul braccio, futuro fotografo personale nonché fiduciario del leader socialista e presidente del Consiglio Bettino Craxi.
Insomma, scrive Colonna, «si assiepano intorno al morto ammazzato lupi famelici riuniti a vario titolo e per conto di tribù diverse. Per sincerarsi che la preda morta lo sia davvero, per riferire a chi di dovere che il sabba si era concluso come da programma, qualcuno per farsi avanti ed offrirsi come manovalanza per altri e più “alti” incarichi».
L’autore della fotografia morrà nel 1993 in un ben strano incidente stradale: lo investe un furgone rubato, l’autista fugge, le pellicole e le fotocamere che aveva con sé non verranno ritrovate, «ma già nei giorni del delitto Pasolini girava voce che qualcuno volesse far sparire i negativi del reportage: solo oggi ne capiamo il perché».
Nella sua inchiesta Colonna accenna poi a un elenco di 120 persone che Pasolini «custodiva gelosamente nella sua cassaforte nell’abitazione di via Eufrate. Erano i nomi coinvolti nel tentativo di golpe, quelli che crearono “una crociata anticomunista con l’aiuto della Cia”. Vi comparivano alti responsabili dei Servizi segreti, giornalisti collusi, personaggi dell’Arma importantissimi. La lista venne trafugata sei mesi prima di morire, il furto non fu denunciato».

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