Arbeit macht frei

by

Per gli zingari Sinti un moderno lager oltre la tangenziale
da Pavia, Giovanni Giovannetti

La Giunta cattoleghista Cattaneo vuole deportare i pavesi zingari Sinti in un campo oltre la tangenziale, contiguo al canile. L’attuale allocazione di piazzale Europa andrà “liberata” per consegnarla agli appetiti di faccendieri e immobiliaristi, ma sul fronte dell’opposizione comunale non aspettatevi barricate da parte del Partito democratico. E si capisce il motivo.

Assessori e dirigenti comunali pavesi in missione a Bruxelles. Obbiettivo: trovare i fondi necessari al piano di deportazione degli zingari Sinti pavesi verso Cura Carpignano, oltre la tangenziale, vista canile, nel villaggio “le corti”: come riferisce l’assessore ai Servizi sociali Sandro Assanelli al quotidiano locale, «nel villaggio che abbiamo immaginato ogni famiglia avrà il proprio stallo, con servizi igienici, docce, allacciamento con l’energia elettrica e tutti i servizi necessari. È previsto, poi, uno spazio comune che potrà essere utilizzato per vari scopi, come le funzioni religiose o momenti di aggregazione tra i bambini. Infine, vorremmo aggiungere degli orti a corona del villaggio, in modo che i residenti possano coltivarli». Insomma, un moderno campo di concentramento, purché i Sinti si tolgano da dove sono ora.
Attualmente, circa 450 zingari Sinti – cittadini pavesi e stanziali da più generazioni – bivaccano nel lager di via Bramante o più comodamente nel campo di piazzale Europa, ai margini del centro storico. Ora il sindaco amico degli amici – amici molto interessati all’area di piazzale Europa, urbanisticamente assai appetibile – e l’assessore ciellino hanno fretta di arrivare a soluzione: quella finale.
Come si ricorderà, sul pavese piazzale Europa si era già soffermato il milanese Dipartimento distrettuale antimafia nel corso dell’inchiesta Infinito, là dove Carlo Chiriaco – poi condannato in primo grado a 13 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa – fantasticava una cittadella tra l’idroscalo e il gasometro, con il conforto di 15-20 milioni in fondi europei («tu prova a immaginare: il gasometro che diventa, sostanzialmente, un parcheggio a più piani. Recuperi la piscina per eventi che non sono solo sportivi ma mondani. […] La spesa prevista sono 12-15 milioni di euro, che non cacceresti tu come Comune; li caccia la Comunità europea». Intercettato, Chiriaco racconta anche di «provvigioni» del 20 per cento da destinare all’assessore comunale al Commercio Pietro Trivi (Pdl) e al presidente della Commissione comunale Territorio, il calabrese Dante Labate (ex An) eletto, scrivono gli investigatori, «anche grazie ai voti portati da Pino Neri» (Neri è considerato il “reggente” della ‘Ndrangheta in Lombardia: una condanna a 9 anni per narcotraffico, nuovamente condannato in primo grado il 6 dicembre 2012 a 18 anni di carcere per associazione mafiosa). Nel 2003 Labate è stato socio dell’Immobiliare Vittoria, condivisa con Antonio Dieni (braccio “politico” di Neri) e Teresa e Graziella Aloi, rispettivamente cognata e moglie di Pino Neri.
E allora si deportino i Sinti oltre la tangenziale. Sempre meglio, ironizzano a destra, della soluzione avanzata il 28 agosto 2009 sulla “Provincia Pavese” dal cattolicissimo ex consigliere comunale di centrosinistra Enrico Beltramelli: un grande campo sotto le carceri di San Gallo, così le guardie potranno tenerli d’occhio, in quella zona «sufficientemente distante da agglomerati abitati da cittadini» (cittadini? I Sinti pavesi cosa sono se non cittadini pavesi?) Insomma, un capiente campo di concentramento in grado di ospitare «gruppi di etnie diverse in zone separate con ingressi separati che limitino i contatti tra chi a contatto non vuole stare». Manca solo la scritta all’ingresso: la scelta potrebbe cadere su “Arbeit macht frei”.
Dunque, non aspettiamoci le barricate in Consiglio comunale da parte del Partito democratico (al governo cittadino per 14 anni senza mai sfiorare la questione, scarsamente “popolare”), poiché a Pavia il razzismo “di sinistra” è un po’ come la mafia: non esiste.
E si capisce. A Pavia nel 2007 (e non a Berlino nel 1934) un sindaco donna e di sinistra (e non della Lega nord), di professione dirigente scolastico e futuro membro della Commissione etica del Partito democratico (e non del Ku Klux Klan) ha impedito l’accesso alla scuola a decine di bambini rumeni di etnia Rom precariamente dimorati all’ex Snia poiché sarebbe stato «un incentivo per le famiglie a radicarsi sul territorio»,(da una Relazione del Comitato Fuoriluogo, 28 febbraio 2007) disdegnando così la Costituzione, i diritti universali dei minori e il buon senso. E ancora, parlando di sé in terza persona: «Fosse per il sindaco di Pavia, i Rom li avrebbe messi sopra un treno e mandati via». Anche per questo sindaco un popolo di troppo si stava aggirando per l’Europa. Anche a sinistra c’è stato chi sconsideratamente ha alluso a «deportazioni» finali per gli “scarti umani”, radicando in questi immigrati la convinzione che la crescita sociale da noi si ottiene solamente con la pratica dell’arbitrio e della violenza.
Il sindaco Capitelli di centrosinistra era sostenuto politicamente da buona parte della sua stessa maggioranza: dal vicesindaco Ettore Filippi («I Rom non esistono») all’assessore ai Servizi sociali Francesco Brendolise («l’esperienza dimostra che prima delle ruspe spariscono tutti»). Proseguendo nel sommario elenco di sinistre citazioni: 29 novembre 2006. Lettera del dirigente del settore socio assistenziale Carla Galessi a Marisa Camola (Ufficio integrazione sociale): …«In relazione alla situazione delle famiglie rumene situate presso l’Area ex Snia si comunica che a far tempo dalla data odierna la S.V. Non è autorizzata ad avere contatti diretti con le famiglie presenti presso tale struttura»
Dal verbale della Commissione consiliare Servizi sociali, 28 febbraio 2007: «…La dott.ssa Galessi dichiara di aver disposto nell’autunno 2006 agli assistenti sociali e al personale dell’assessorato di non recarsi più alla Snia».
Da una informativa dei volontari di “Fuoriluogo” alla Commissione consiliare Servizi sociali (28 febbraio 2007): «Riteniamo che sarebbe sufficiente, nell’immediato, ritirare l’improvvido e sbagliatissimo provvedimento di divieto alle assistenti sociali di occuparsi del problema Snia nella speranza di ritornare, a breve, ad una situazione in cui un livello minimo di decenza e legalità erano garantiti […] a proposito di collaborazione ci permettiamo anche di mettervi a conoscenza del fatto che anche di recente il personale dei Servizi sociali, che doveva convocare una ragazza, madre di due bambini, per discutere di un suo eventuale inserimento in comunità protetta, si è visto costretto a chiedere a noi di contattarla stante il divieto assoluto per loro di recarsi alla Snia (luogo dove è tornata ad abitare con i due figli piccoli dopo essere stata allontanata da Fossarmato) […] Dalla stessa istituzione, seppur da persone diverse, ci viene prima l’invito a non recarsi più alla Snia, poi ad andarci per contattare una persona che altimenti il comune non saprebbe come individuare…».
Ancora dall’informativa dei volontari di “Fuoriluogo” alla Commissione consiliare Servizi sociali (28 febbraio 2007): «… Il sindaco ha detto che nessuno di questi bambini verrà prossimamente inserito nelle scuole per il timore che questo costituisca “un incentivo per le famiglie a radicarsi sul territorio».
Ancora dal Verbale della Commissione consiliare Servizi sociali: «La dott.ssa Galessi informa che se l’amministrazione interviene sui bambini ci saranno nuovi arrivi».
Di nuovo dal verbale della Commissione consiliare Servizi sociali: secondo l’assessore ai Servizi sociali Francesco Brendolise l’area Snia «presenta problemi particolari, in quanto circondata da criminalità, con smercio di droga» e «persone che lavorano in nero, Rom già pregiudicati per reati vari, anche verso minori, è inoltre visibile il fenomeno della prostituzione». 
Secondo la Questura, solo 8 di loro hanno precedenti penali per reati contro il patrimonio, il 7 per cento del totale. In Comune 2 assessori dell’epoca su 11 sono stati ospiti delle patrie galere: il 18 per cento.
Tra i pretoriani del sindaco Capitelli riscontriamo il consigliere Fabio Castagna. Diventato capogruppo, il 31 gennaio scorso, sei anni dopo (e non sei giorni dopo), tornando sull’emergenza all’ex Snia il consigliere del Partito democratico così scrive in “Politica a Pavia”: «lo rifarei», e prosegue: «faccio presente che nel quartiere di Pavia Est ci siamo dovuti pure sorbire una manifestazione di Forza Nuova che stava facendo proseliti tra cittadini». Per contrastare il presunto espansionismo di Forza Nuova nel quartiere hanno così pensato di emularli, rivendicando – e sdoganando – “da sinistra” il razzismo e la xenofobia. Come era prevedibile, quelli di Forza Nuova hanno inoltrato le loro congratulazioni, poiché i Democratici di sinistra «finalmente hanno preso le nostre posizioni» (agosto 2007).
Per derubricare l’altro a nemico servono uno sguardo deumanizzante (così da negare i tratti costitutivi dell’umano, direbbe Chiara Volpato) e la creazione del “falso conflitto”: noi-loro (o noi o loro), ovvero la menzogna della conflittualità che vede l’altro relegato a non-umano alieno e inanimato, tanto da legittimare il peggiore arbitrio: ieri con zingari, omosessuali e soprattutto ebrei. Oggi con ebrei, omosessuali e soprattutto zingari.
Tornando all’ex Snia, abbiamo visto che gli stessi pubblici amministratori – o criminalizzatori – “di sinistra” intenti a invocare l’ordine e la sicurezza in realtà volevano coprire i privatissimi interessi di un immobiliarista d’area. Uno scopo odioso, così come la strumentalizzazione della paura del diverso, fiancheggiata da mesi di irresponsabile tambureggiamento mediatico: un’emergenza umanitaria spacciata per un problema di ordine pubblico (secondo il sindaco di centrosinistra, «nell’area non esiste un’emergenza igienico-sanitaria, ma solo un problema di sicurezza»), la via intrapresa per far digerire all’opinione pubblica l’illecita distruzione di una fabbrica monumentale.
Dopo il cambio di latitudine politica, a Pavia la musica non è cambiata: nel settembre 2009 il nuovo sindaco di centrodestra – da poco eletto con il contributo di Pino Neri, il capo della’Ndrangheta lombarda – sgombera “al buio” 17 Rom rumeni dall’area Necchi. “Al buio”, cioè senza prevedere alcuna successiva sistemazione d’emergenza: undici adulti e sei bambini hanno così dovuto bivaccare sotto un ponte. Motivo: «S’impone il ripristino della legalità». I minori fino al giorno prima ogni mattina andavano a scuola. Il padre poteva esibire un regolare contratto di lavoro, al quale ha dovuto rinunciare per stare vicino alla sua famiglia in mezzo a una strada. Lui – che pure sarebbe stato in grado di pagare un affitto – dai locatori pavesi si era sentito rispondere: «Albanesi e marocchini sì, rumeni no»; e somiglia tanto a quel sinistro «vietato l’ingresso ai cani e agli italiani» o all’analogo «non si affitta ai meridionali» di cui si parla nei libri di storia, quando i rumeni eravamo noi.
Sempre in tema di «regole» e di «legalità», l’11 maggio 2010 il Tribunale di Pavia ha accolto il ricorso di Radu Romeo, cittadino rumeno accusato dal sindaco di non essere «immune da precedenti penali e di polizia», di condurre «un tenore di vita non idoneo alla sua situazione» e di non essere «integrato nella società italiana»; dunque, recita un’informativa comunale, «si sospetta che il suddetto possa trarre il proprio sostentamento da attività illecite». Nelle motivazioni del Giudice di pace si legge l’esatto contrario: che Romeo è un «lavoratore autonomo integrato nel tessuto socio economico del Paese, dispone per se stesso e per i propri famigliari di risorse economiche sufficienti per la conduzione di un’esistenza dignitosa, non è un onere a carico dell’assistenza sociale […] e non rappresenta un pericolo per la società». Sono motivi sufficienti per annullare il provvedimento prefettizio, emesso il 12 novembre 2009, dodici giorni prima che Radu – in forza di quella cartastraccia – venisse cacciato per ordine comunale da un centro di accoglienza insieme a moglie e figli.
Non era la prima volta. Il quotidiano “La Provincia Pavese” di venerdì 11 settembre 2009, in prima pagina aveva dato risalto alla notizia di casi di pedofilia tra i minori di etnia Rom ospiti della struttura comunale di via San Carlo. Testualmente, il sindaco ha riferito di «informative dalle quali risultano casi di prostituzione minorile e altri episodi illeciti» esercitati all’interno della struttura comunale.
Si riveleranno tutte bugie, costruite ad arte dal sindaco menzognero per legittimare lo sgombero, il 24 novembre 2009, di otto famiglie, di nuovo “al buio”: uomini donne e undici bambini (c’erano anziani, una donna al sesto mese di gravidanza, un neonato; c’era anche la famiglia di Radu Romeo) cacciati dai centri comunali di San Carlo e Fossarmato; e tra loro anche persone mai raggiunte dall’ordinanza prefettizia, eppure allontanate: «Motivi di ordine pubblico» (ordine mai formalizzato dal sindaco) e in «accordo con la prefettura» (falso: il numero delle famiglie sgomberate fu circa il doppio di quello dei decreti di allontanamento prefettizi).
Buttati in mezzo a una strada nel gelido inverno con la conseguente, e se possibile ancor più terribile, interruzione del percorso scolastico dei figli minori. Poveri da nascondere, spazzatura da spostare sotto qualche altro tappeto, specie quando si tratta di stranieri, quelli ancora più miserabili e digiuni dei diritti come, per l’appunto i Rom rumeni.
Quanto agli zingari Sinti pavesi – agli zingari in generale – permangono marginalizzati nel segno di politiche demagogiche e violente, basate sul paternalismo, sull’assistenzialismo e a volte sulla repressione. Un cane che si morde la coda: la segregazione e la perdita dell’identità culturale aprono alla deriva delinquenziale, al giustizialismo, al rifiuto. Un costo sociale ed economico elevatissimo, ben superiore a quello delle politiche d’inclusione, scolarizzazione e inserimento lavorativo.
Andrebbe superata la cultura dei campi favorendo il progressivo inserimento di queste famiglie nel tessuto sociale cittadino, evitando l’acquartieramento su basi etniche. Invece…
Le istituzioni locali miopi li preferiscono culturalmente portati a vivere in roulotte o in baracche: non è così. Tra i Sinti c’è la richiesta diffusa di casette più stabili, di micro-aree in cui costruire piccoli villaggi in cui sperimentare forme di autogestione responsabile del territorio. Tutto il contrario della de-responsabilizzazione a cui sono portati dagli interventi assistenziali, o dai “privilegi”, come il mancato pagamento delle utenze pubbliche.

Provo ad elencare alcune possibili alternative residenziali al modello del “campo nomadi”, da progettare in modo partecipativo – Piccole unità abitative. Gruppi famigliari allargati acquistano un terreno o ne ricevono uno dalla pubblica autorità (contratto di enfiteusi) sul quale costruire una casa – La casa popolare. Può rappresentare una soluzione quando i legami sono monofamiliari. Ma vivere nei campi comporta punteggi molto bassi – 
L’affitto di una casa sul mercato privato (modello bolognese: in questo modo sono stati chiusi tre campi, con un risparmio dei 3/4 di quanto il Comune spendeva nella gestione dei “campi nomadi”). All’occorrenza il Comune può affittare gli appartamenti e poi subaffittarli ai destinatari, garantendo così i proprietari. Sono politiche con un orizzonte di almeno 8 anni. Le condizioni potranno variare ogni 4 anni – L’acquisto di una casa (modello torinese): anche in questo caso si rendono necessari dei garanti per l’accesso al credito. In alternativa, il Comune svolge la funzione di mediatore con le banche per l’accesso ai mutui. 
In tutti questi casi vanno previste forme di accompagnamento, anche da parte di operatori provenienti dalle comunità Sinte. Non andrebbero dimenticate una o più micro-aree riservate alla sosta temporanea dei gruppi in transito. Gli zingari lombardi hanno ormai perso le abitudini itineranti, ma alcuni sono ancora dediti al piccolo commercio, ad attività artigianali, all’attività di giostrai, ecc. Le aree di sosta implicano un coordinamento con gli altri siti a disposizione in altre province. Al riguardo, è ottimo il modello francese.

Una Risposta to “Arbeit macht frei”

  1. Fabrizio Says:

    Penso che le soluzioni siano diverse, ma vadano ragionate in base alle esigenze e alle risorse locali (http://www.sivola.net/dblog/articolo.asp?articolo=5345).
    Attenzione: il modello francese è ottimo solo nella teoria: in realtà oltre la metà dei comuni che dovrebbero predisporre aree di sosta, hanno preferito non farlo e pagare piuttosto le penali previste per l’inadempienza

Lascia un commento