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Pasolini compie novant’anni

4 marzo 2012

di Carla Benedetti e Giovanni Giovannetti

Era nato il 5 marzo 1922, dunque oggi avremmo festeggiato il suo novantesimo compleanno. Cosa avrebbe detto Pasolini del tracimante ‘sacco’ del territorio? O di quanto è cronaca in Val di Susa? E del berlusconismo? Dell’ideologia edonistica come strumento subliminale del controllo sociale e dei nuovi modelli di consumo? Il «piacere di consumare, l’essere felici in quanto consumatori» era un suo motivo di fondo nei periodici interventi giornalistici di critica corsara e luterana alla progressiva restaurazione in corso, ben prima di Tangentopoli e la coda lunga dello stragismo fascista mafioso e di Stato, ben prima dunque che fosse emerso prepotentemente l’indistinto e perverso intreccio tra politica criminalità e affari. Pasolini ci manca. Manca all’Italia. Lo voglio ricordare riproponendo Come corsari sulla filibusta, saggio-inchiesta scritto insieme a Carla Benedetti sui possibili scenari e mandanti della sua morte violenta. (G. G.)

Nel 1972 arriva in libreria Questo è Cefis. L’altra faccia dell’onorato presidente di Giorgio Steimetz, una quasi biografia – non autorizzata – del presidente di Eni e Montedison, pubblicata dall’Agenzia Milano Informazioni di Corrado Ragozzino, di cui Steimetz è forse l’alter ego. L’agenzia è finanziata da Graziano Verzotto, democristiano della corrente dorotea di Mariano Rumor, uomo di Enrico Mattei ed ex presidente dell’Ente minerario siciliano. Fu anche l’informatore di Mauro De Mauro, il giornalista de “l’Ora” di Palermo rapito e ucciso dalla mafia nel 1970. Così come era accaduto a Mattei sette anni prima. Così come accadrà a Pier Paolo Pasolini cinque anni dopo. (more…)

Cefis Steimetz Pasolini

13 novembre 2010

Bruna Miorelli intervista Giovanni Giovannetti
Radio Popolare, Sabato Libri, 13 novembre 2010

Come corsari sulla filibusta 7

11 novembre 2010

di Carla Benedetti e Giovanni Giovannetti

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Le verità negate

«Chi tocca il Principe avrà del piombo; chi non lo tocca avrà dell’oro», scrive Steimetz: piombo tipografico o di un qualche calibro? Un ragazzo di 17 anni, Pino Pelosi, si è autoaccusato dell’omicidio di Pasolini. Il 26 aprile 1976 il tribunale di Roma lo ha condannato alla pena di nove anni, sette mesi e dieci giorni di carcerazione, oltre a una multa di 30.000 lire per atti osceni. Il 7 maggio 2005 Pelosi ha ammesso che quel giorno non era solo, che altri avevano partecipato al pestaggio: «Erano in tre, sbucarono dal buio. Mi dissero tu fatti i cazzi tuoi e iniziò il massacro. Io gridavo, lui gridava… Avranno avuto 45, 46 anni, gli gridavano “sporco comunista”, “arruso”, “fetuso”». Insomma, fu un agguato e forse Pelosi era solo un’esca.
Pasolini, stando alla seconda versione di Pelosi, viene massacrato da «tre siciliani»; nel frattempo altri provvedono a sottrarre da Petrolio il capitolo Lampi sull’Eni, «che dall’omicidio ipotizzato di Mattei guida al regime di Eugenio Cefis, ai “fondi neri”, alle stragi dal 1969 al 1980 e, ora sappiamo, fino a tangentopoli, all’Enimont, alla madre di tutte le tangenti».[91]
Chi sono i veri assassini? Quali i mandanti? Domande in sospeso su cui insiste Gianni D’Elia nel suo prezioso libro-inchiesta Il Petrolio delle stragi, ripreso nel 2009 da Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza in Profondo nero.[92] Assieme al dossier di Carlo Lucarelli e Gianni Borgna uscito su “Micromega” n. 6/2005, alle tante firme italiane e internazionali raccolte dalla rivista “Il primo amore” per la riapertura del processo e al presunto ritrovamento di una parte del capitolo mancante Lampi sull’Eni [93], forse porterà ad una nuova più approfondita indagine sulla morte del grande regista e poeta friulano.[94] Quasi quarant’anni dopo. Quarant’anni di verità negate agli italiani, in un Paese esposto alle pulsioni mafiose del Potere. È la pasoliniana «mutazione antropologica della classe dominante», che ritroviamo nel linguaggio narcotizzante della televisione, (la grande scommessa P2 persa da Cefis, vinta da Berlusconi), nelle parole vuote – menzognere e terroristiche – della pseudo-politica e nell’immutata logica del Potere, che ha portato al mondo in cui viviamo adesso.
Gli italiani sono oggi relegati nella cattiva società dei ceti immobili; del finto sviluppo senza progresso; delle diseguaglianze senza ascensore sociale «in un Paese orribilmente sporco» e privo di mobilità.
Il Paese della corruzione, delle tangenti, dei favoritismi e dello spreco del pubblico denaro; un Paese tenuto in scacco – oggi come allora – dall’invasiva e colonizzante contaminazione delle mafie, che approfittando del vuoto si fanno Stato, in Lombardia come in Sicilia, in Emilia come in Calabria. Nella politica, nell’economia, e nella finanza e nella società la contaminazione destruttura e corrode nonostante la retorica del consenso strausata da chi, coltiva l’interesse particolare, ignorando la globalizzazione degli uomini e le svolte epocali annunciate dall’arrivo dei nuovi migranti; e assecondando irresponsabilmente gli umori forcaioli della piazza. Quella piazza che in un’allucinante circolarità loro stessi sobillano, alterando tragicamente l’etica pubblica, al punto da elevare a cultura prevalente il nuovo fascismo e con tutto il suo portato di razzismo e xenofobia che, senza ostacoli o freni inibitori, si riversa dalla politica populista al senso commune. L’Italia sembra così il terreno di coltura per un nuovo sovversivo «regime reazionario di massa». [95] È del resto in corso un forte impoverimento del ceto medio – a livello europeo – che può avere come esito una qualche nuova forma di fascismo.[96]
Ma l’effetto più visibile di questa contaminazione pervasiva, è il crescere della cattiveria: «Il tasso di cattiveria sta crescendo sempre più. Le macchine economiche, mediatiche, sportive e di altro tipo funzionano facendo venire fuori il peggio dalle persone e dal Paese. Ovunque esasperazione, invidia, risentimento, livore, paura. L’Italia di questi anni è la fabbrica della cattiveria». [97]
La cattiveria è una rendita economica, e lo sanno bene i Governi che negli ultimi vent’anni hanno sostenuto l’ascesa del loro Prodotto interno lordo con le spese militari e con l’indebitamento di milioni di famiglie, attratte dal miraggio della new economy – la truffa del secolo – mentre intanto i profitti migravano dall’industria verso il sistema finanziario e si drenava il denaro dei piccoli risparmiatori, indotti a indebitarsi dall’offerta vantaggiosa di finanziamenti da parte del sistema creditizio, come nella truffaldina deriva di mutui Subprime sulle case.
La cattiveria è soprattutto una rendita politica, e lo sa bene la Lega nord che «raccoglie le paure degli uomini spaventati e le moltiplica. Capta la xenofobia e la riproduce». È la Lega dei localismi «che intercetta lo spaesamento prodotto dalla globalizzazione. Intercetta il distacco dallo Stato, dalle istituzioni, dalla Ue. E lo amplifica». [98]
Sulla cattiveria si stanno costruendo rendite elettorali e fortune politiche e antipolitiche e lo sa bene il sistema dei partiti, di destra e di sinistra, sempre più attratti dalle semplificazioni del populismo e della demagogia, scorciatoie che ignorano la realtà.
Che la cattiveria sia una rendita economica, finanziaria, politica e persino sociale lo sanno bene i furbetti e le mafie. Infatti larga parte dell’economia italiana è sommersa o in mano a chi, dismesse coppola e lupara, oggi opera in Borsa: il sommerso e le mafie, sommati, fanno un fiume di denaro – circa il 40 per cento del Pil – che preme sull’economia legale e condiziona il libero mercato. Le mafie fatturano 175 miliardi di euro – l’11, 1 per cento del Pil – che è frutto di attività criminali e che viene reinvestito nell’edilizia e nelle attività commerciali, o in operazioni finanziarie attraverso banche compiacenti. Nelle sole regioni del Nord, oltre 8. 000 negozi sono gestiti direttamente dalle mafie inabissate dei colletti bianchi. In Italia, 180mila esercizi commerciali sono sottoposti all’usura, con tassi di interesse in media del 270 per c
ento: un movimento di denaro di 12, 6 miliardi che va ad aggiungersi al ricavato delle estorsioni (circa 250 milioni di euro), della droga (59 miliardi di euro), delle armi (5,8 miliardi), della contraffazione (6,3 miliardi), dei rifiuti (16 miliardi), dell’edilizia pubblica e privata (6,5 miliardi) delle sale gioco e scommesse (2,4 miliardi), della compravendita di immobili, della ristorazione, dei locali notturni, ecc. Uomini cerniera mantengono i collegamenti con il mondo dell’economia, della politica e della finanza. Le mafie condizionano l’intera filiera agroalimentare (7,5 miliardi) interagendo con segmenti della grande distribuzione.
Le mafie delocalizzano, diversificano gli investimenti, hanno molta liquidità, non pagano le tasse, non hanno bisogno di indebitarsi con le banche e pagano cash . Le Procure hanno invece le armi spuntate, perché la legge sul riutilizzo a fini sociali dei beni confiscati ai mafiosi può essere facilmente aggirata (ad esempio, intestando le proprietà a compiaciuti prestanome), mentre strumenti che potrebbero rivelarsi incisivi, come l’anagrafe dei conti correnti bancari, è disattesa da vent’anni. [99]
La cattiveria a volte è un crimine. Ed è criminale lasciare morire esseri umani (come è ormai norma al largo di Lampedusa), criminale uccidere persone che spesso stanno fuggendo da altre guerre. La cattiveria a volte nemmeno la si vede. Ad esempio, quella nascosta dietro le “morti bianche” sul lavoro, una vera emergenza.
La cattiveria di chi usa le malattie, le povertà e il disagio per traghettare pubblico denaro verso privatissime strutture d’area.
La cattiveria delle false bonifiche – quelle a danno della salute dei cittadini – e dei veri bonifici sui conti cifrati esteri di persone già ricche eppure ostinatamente venali.
La cattiveria dei cementificatori, degli asfaltatori e di chi non smette di speculare sul consumo di territorio vergine, che è un bene non riproducibile. La cattiveria di chi vuole trasformare l’acqua in una merce su cui lucrare, con rincari fino a cinque volte il prezzo attuale.
La cattiveria dei «cattolici senza fede», leghisti digiuni dei Vangeli che esibiscono una croce senza più Cristo né carità. È la Lega «sorta nel vuoto prodotto dall’eclissi del sacro e dalla secolarizzazione. Propone una nuova religione. Naturalmente secolarizzata. Senza Dio e senza chiesa. Sovente, contro la Chiesa». [100]
Tutto questo e molto altro ancora è cattiveria, ma al peggio non c’è mai fine. I cambiamenti climatici, l’inquinamento delle acque e la biodiversità in declino sono di gran lunga più cattivi e devastanti della crisi finanziaria, al punto da minare il futuro stesso della specie umana, che negli ultimi cinquant’anni è raddoppiata. Nello stesso tempo, un terzo delle specie selvatiche o si sono estinte o sono state decimate dal nostro espansionismo.
Scrive Gianni D’Elia: «le parti di Petrolio che non si trovano più davano forse molto fastidio al Nuovo Potere, che si andava consolidando. Forse avrebbero fatto lo stesso botto di Mani pulite, contro la tangentopoli stragista di quella stagione, invece sepolta nella rimozione che siamo diventati, pasolinianamente, “a mutazione criminale avvenuta”».[101] E allora leggiamo Questo è Cefis, e rileggiamo anche Petrolio, che al libro di Steimetz deve molto. Ripercorriamo «il viaggio dantesco dentro i “gironi” della notte repubblicana, della sua “mutazione antropologica” e politica infernale».

(dall’introduzione a Questo è Cefis. L’altra faccia dell’onorato presidente di Giorgio Steimetz, edito da Effigie nella collana Saggi e documenti)

[91] D’Elia, Il Petrolio delle stragi, p.98. Il cugino di Pasolini Guido Mazzon (testimonianza raccolta da D’Elia e Giovannetti il 24 ottobre 2005, a Pavia) «Mia cugina Graziella [Chiarcossi, erede del poeta] mi telefonò due volte  il giorno del delitto – “I fascisti hanno ucciso Pier Paolo”– e qualche tempo dopo, un mese, non ricordo bene.  i ricordo bene quello che mi disse  “sono venuti i ladri in casa, hanno rubato della roba, gioielli e carte di Pier Paolo”» . Mazzon ha poi ripetuto la sua testimonianza  a Paolo Di Stefano (sul “Corriere della Sera”, 4 marzo 2010)  «Nel ‘75, dopo la tragedia di Pier Paolo, Graziella chiamò mia madre per dirle di quel furto. Quando mia madre me lo riferì, pensai  “Accidenti, con quel che è capitato ci mancava pure questa”. E pensai anche  “Strano però, che senso ha andare a trafugare le carte di un poeta?”. Il mio stato d’animo sul momento fu proprio quello. Avevo 29 anni e ricordo bene la sensazione che ebbi. Poi il particolare del furto mi tornò alla mente leggendo Petrolio e venendo a sapere della parti scomparse» Perché l’imbarazzo? «Perché non riesco a capire come mai mia cugina continui a negare quel fatto. Dopo l’annuncio del ritrovamento, l’ho cercata al telefono, ma senza successo  vorrei chiarire, cercare di ricomporre il ricordo.  ia madre è morta due anni fa e non posso più chiederle conferma, ma quella comunicazione telefonica ci fu e si verificò dopo la morte di Pier Paolo, non potrei dire esattamente quanti giorni dopo». Ancora Mazzon a Matteo Sacchi (“il Giornale”, 4 marzo 2010)  «Io ricordo bene che dopo la morte di Pasolini mia madre ricevette una telefonata proprio da Graziella Chiarcossi che le comunicava che c’era stato un furto. Avevano portato via delle carte e dei gioielli.  Mia madre era molto turbata. All’epoca non pensammo affatto a Petrolio.  a col senno di poi e con queste rivelazioni, tutto potrebbe assumere un senso».
[92] Lo stesso titolo di uno dei capitoli del libro di D’Elia, che i due autori correttamente indicano tra le principali fonti d’ispirazione del loro lavoro.
[93] «L’ho letto, è inquietante, parla di temi e problemi dell’Eni, parla di Cefis, di Mattei e si lega alla storia del nostro Paese». Così parlò Marcello Dell’Utri il 2 marzo 2010, annunciando che di Lampi sull’Eni – il capitolo mancante di Petrolio, il mutilato romanzo di Pier Paolo Pasolini – proprio di quelle pagine proprio lui, beffardamente era entrato in possesso. Una notizia clamorosa due volte perché l’amico dello stalliere di Arcore stava dando (inconsapevolmente?) una “notizia di reato” e perché nonostante Dell’Utri ci saremmo trovati di fronte a pagine di rilevante interesse sia storico che letterario. Presto Dell’Utri si corregge «in realtà non l’ho letto… me ne hanno riferito un sunto… sembra ch
e in quelle pagine Pasolini parli… parli dell’Eni… di Cefis… di Mattei…». E a Paolo Di Stefano (“Corriere della Sera”, 12 marzo 2010) Ma lei li ha visti? «Li ho avuti tra le mani per qualche minuto, sperando di poterli leggere con calma dopo». Che fisionomia avevano? «Una settantina di veline dattiloscritte con qualche appunto a mano». Poi si preciserà che sono esattamente 78 «di un totale di circa duecento». Potrebbe essere il famoso capitolo mancante, intitolato Lampi sull’Eni? Risposta «Più esattamente Lampi su Eni». Alessandro Noceti (collaboratore di Dell’Utri) su “il Giornale” del 4 marzo 2010 dice che quelle pagine «erano all’interno di una cassa. La cassa apparteneva ad un Istituto che ne è anche proprietario». A quanto sembra, le veline sparite sarebbero in mano a un antiquario – un intermediario – che le avrebbe offerte al sodale di Berlusconi, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. Nell’ottobre 1974 Pasolini dichiara di essere arrivato a 600 pagine (un mese prima erano 337), mentre al filologo Aurelio Roncaglia la cugina Graziella Chiarcossi ne consegna 522: 492 pagine dattiloscritte, le altre a mano, «senza contare – osserva D’Elia – che in pochi mesi ne aveva scritte circa 200».
[94] Il 27 marzo 2009 l’avvocato Stefano Maccioni e la criminologa Simona Ruffini hanno depositato alla Procura di Roma un’istanza di riapertura delle indagini sulla morte di Pasolini.
[95] La formula era di Palmiro Togliatti, A proposito di fascismo (1928)
[96] «Che cos’è, infatti, il globalismo (e l’aggettivo “globale” ricorre in Petrolio) se non la forma più avanzata del “cristiano” vecchio coloniali-smo?», si domanda D’Elia  «Un colonialismo delle merci e dei capitali sulla vita degli umani, con altissima velocità dello Sviluppo e della Miseria, di cui il petrolio è l’essenza, la marxiana benzina del valore di scambio» (D’Elia, Il Petrolio delle stragi, p.27)
[97] La fabbrica della cattiveria, “Il primo amore” n. 6/2008
[98] Ilvo Diamanti, Se il Carroccio diventa una Lega nazionale, “la Repubblica”, 13 dicembre 2009
[99] Senza alcun clamore, per il triennio 2009-2011 il Governo Berlusconi prevede una riduzione dell’organico delle forze di Polizia di almeno 40. 000 operatori e tagli di spesa per più di 3 miliardi di euro. Il Governo conferma la riduzione del 50 per cento delle indennità per i servizi in strada e per il controllo del territorio, nonché la riduzione del 40 per cento della retribuzione accessoria per malattia o infortuni sul lavoro.
[100] Diamanti, “la Repubblica”, 13 dicembre 2009
[101] Il Petrolio delle stragi, p.30

(7 – fine)

Come corsari sulla filibusta 6

6 novembre 2010

di Carla Benedetti e Giovanni Giovannetti

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A conclusione della sua inchiesta, nonostante la mancata certificazione di sicari e mandanti, Vincenzo Calia scrive:

Dalle fonti di prova raccolte […] emerge che l’esecuzione dell’attentato venne decisa e pianificata con largo anticipo, probabilmente quando fu certo che Enrico Mattei, nonostante gli aspri attacchi e le ripetute minacce non avrebbe lasciato spontaneamente la presidenza dell’Ente petrolifero di Stato. […] la programmazione e l’esecuzione dell’attentato furono complesse e comportarono – quantomeno a livello di collaborazione e di copertura – un coinvolgimento degli uomini inseriti nello stesso Ente petrolifero e negli organi di sicurezza dello Stato con responsabilità non di secondo piano. Tale coinvolgimento trova conferma nelle soppressioni di prove e di documenti, nelle pressioni, nelle minacce e nell’assoluta mancanza, in ogni archivio, di qualsiasi documento relativo alle indagini e agli accertamenti sulla morte di uno dei personaggi più eminenti nel quadro politico ed economico dell’epoca. […] È facile arguire che tale imponente attività, protrattasi nel tempo, prima per la preparazione e l’esecuzione del delitto e poi per disinformare e depistare, non può essere ascritta – per la sua stessa complessità, ampiezza e durata – esclusivamente a gruppi criminali, economici, italiani o stranieri a “Sette […o singole] sorelle” o servizi segreti di altri Paesi, se non con l’appoggio e la fattiva collaborazione – cosciente, volontaria e continuata – di persone e strutture profondamente radicate nelle nostre istituzioni e nello stesso Ente petrolifero di Stato, che hanno eseguito ordini o consigli, deliberato autonomamente o con il consenso e il sostegno di interessi coincidenti, ma che, comunque, da quel delitto hanno conseguito vantaggi. [75]

Indagando sulla morte del presidente dell’Eni (nonostante l’accertamento del reato, l’inchiesta verrà archiviata per l’impossibilità di incriminare i colpevoli), Calia ha potuto constatare la lucidità dello scrittore “corsaro” nel ricostruire in Petrolio il degrado e la mostruosità italiana, identificando il burattinaio principale in Cefis, affarista e “liberista” tanto quanto Mattei era utopista e “statalista”.
Dopo la scalata dell’Eni alla Montedison (il colosso chimico privato acquisito con pubblico denaro) , nel 1971 Cefis ne diventa il presidente, lasciando l’Eni (a cui era alla guida dal 1967) al fido Raffaele Girotti. Come ironizza Steimetz, Cefis «si crede un semidio e trova fedeli osservanti in questo suo culto della persona. Se tutti gli danno retta, è ovvio che finisca per convincersi di aver perfettamente e abitualmente ragione. È saccente, tiene a distanza i villani, si lascia appena ossequiare. Ma in Italia lo applaudono ad esempio. L’economia del Paese – come avvertono gli studiosi e i politici seri – va piuttosto male, se non a rotoli, ma lui accantona miliardi senza faticare molto visto il numero di utili idioti che lo favoriscono». [76] Basterebbe aggiungere una bandana estiva, e il ritratto di Steimetz calza alla perfezione con quello di un altro Cavaliere. Chissà, forse Questo è Cefis lo si può trovare anche nella napoleonica villa San Martino di Arcore, acquisita nel 1972 dalla Edilnord – una società immobiliare in quel momento intestata a Mauro Borsani (zio di Berlusconi) e amministrata da Giorgio Dall’Oglio (cognato di Berlusconi) – per una ridicola cifra intorno a 250 milioni in lire (già all’epoca ne valeva 1. 700;oggi il suo prezzo salirebbe a 7, miliardi delle vecchie lire) completa di parco (1 milione di mq.) , di pinacoteca (Tintoretto, Tiepolo, Luini…) e biblioteca con oltre 10. 000 volumi (per la loro cura, venne assunto nientemeno che Marcello Dell’Utri) . [77] (more…)

Come corsari sulla filibusta 5

26 ottobre 2010

di Carla Benedetti e Giovanni Giovannetti

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La scia del sangue

Il 4 settembre 1998 Graziano Verzotto – interrogato a Pavia – confida a Calia che per Mauro De Mauro «il sabotaggio del Morane Saulnier [il bireattore su cui è morto Mattei] si spiegava con una pista esclusivamente italiana. Tale pista, secondo De Mauro, portava direttamente ad Eugenio Cefis e a Vito Guarrasi», avvocato palermitano in odore di mafia, già componente del cda della s. a. “l’Ora” di Palermo – il quotidiano vicino al Pci presso cui lavorava De Mauro – e braccio destro di Cefis in Sicilia.[57] È un tardivo riscontro della testimonianza di Junia De Mauro al giudice istruttore di Palermo Mario Fratantonio il 17 marzo 1971: «Sono in grado di affermare con sicurezza che mio padre addossava precise responsabilità per la morte di Mattei all’attuale presidente dell’Eni Eugenio Cefis».
Un rapporto del 1944 custodito a Washington nell’archivio del Dipartimento di Stato, indica Vito Guarrasi tra i componenti di spicco di Cosa nostra nell’isola. Dal 1948 al 1950 Guarrasi ha avuto Alfredo Dell’Utri (padre di Marcello) quale socio nella Ra.Spe.Me. Spa, azienda che operava nel settore medico. Secondo il giornalista di “Epoca” Pietro Zullino, «Cefis aveva forti cointeressenze nelle raffinerie Sarom di Ravenna e Mediterranea di Gaeta. Queste raffinerie sono tra le principali rifornitrici del sistema difensivo Nato per il sud-Europa e della Sesta Flotta americana; raffinano e vendono petrolio Esso e Shell. Mattei cercava di obbligare la Nato mediterranea a diventare cliente dell’Eni; Cefis si opponeva a questo progetto, per via delle sue cointeressenze».[58] (more…)

Come corsari sulla filibusta 4

22 ottobre 2010

di Carla Benedetti e Giovanni Giovannetti

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Pasolini si mantiene fedele alla ricostruzione di Steimetz anche riguardo allo statuto proprietario delle singole società. Ancora qualche esempio:

Arolo, scrive Steimetz, aveva come soci la prestanome di Cefis Ambrogia Francesca Micheli e la General Rock Investment trust di Vaduz: nel romanzo diventano la prestanome di Troya Donata Bandel Dragone e la General Lake Investment trust di Coira. La Chioscasauno, sempre stando alle informazioni di Steimetz, era una società a responsabilità limitata rilevata da Cefis nel 1961: così nel romanzo la Spiritcasauno.[41]

Testo alla mano, si può dire quindi che molte delle informazioni di Pasolini su Cefis – in particolare quelle contenute nell’Appunto 22 (Il cosiddetto impero dei Troya ) – venivano da Questo è Cefis. Nel Petrolio delle stragi Gianni D’Elia ha anche considerato «con una certa sorpresa che l’ultimo Pasolini “corsaro”, quello che potremmo anche chiamare “il poeta delle stragi”, riprende quasi sicuramente dal colorito libro di Steimetz il suo aggettivo più romanzesco, salgariano, fortunato e connotato, come si può leggere in Questo è Cefis : “come corsari sulla filibusta”».[42]

Lampi sull’Eni

Tutte le edizioni di Petrolio finora pubblicate [43] contengono uno strano capitolo formato da un titolo e una pagina bianca. Il titolo è Appunto 21. Lampi sull’Eni . È quello che viene subito prima dell’Appunto 22. Il cosiddeto impero dei Troya , cioè le pagine di cui abbiamo parlato finora. Secondo Graziella Chiarcossi, erede di Pasolini e curatrice della prima edizione di Petrolio , quel capitolo non è mai strato scritto. Eppure viene richiamato in un’altra pagina di Petrolio come se fosse già scritto: «Per quanto riguarda le imprese antifasciste, ineccepibili e rispettabili, malgrado il misto, della formazione partigiana guidata da Bonocore, ne ho già fatto cenno nel paragrafo intitolato Lampi sull’Eni , e ad esso rimando chi volesse rinfrescarsi la memoria ».[44] Anche l’edizione di Silvia De Laude, molto accurata nelle note, non commenta quello strano rinvio a un capitolo che non c’è. Il primo a notare l’incongruenza è stato Calia. Vi si è soffermato poi D’Elia, che la considera la prova di un possibile furto di pagine dal manoscritto di Petrolio , poiché «non si può “rimandare” che a ciò che si è già scritto »[45] . Certo, Pasolini avrebbe anche potuto avere in testa i contenuti di quel capitolo, pur non avendolo ancora steso, e ripromettendosi di farlo in un momento successivo, ma certamente la “lacuna” apre delle domande. Soprattutto se la si somma alla natura dell’argomento, alle modalità della morte dell’autore, al furto o sopralluogo che secondo alcuni testimoni ci sarebbe stato nella casa di Pasolini subito dopo l’omicidio, alle dichiarazioni di Pasolini stesso secondo le quali Petrolio avrebbe dovuto essere più lungo di quello che ora abbiamo, [46] e infine anche al fatto che Petrolio è stato pubblicato ben diciassette anni dopo l’omicidio (un ritardo solo in parte giustificato dall’incompiutezza del manoscritto). (more…)

Come corsari sulla filibusta 3

20 ottobre 2010

di Carla Benedetti e Giovanni Giovannetti

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Pasolini elenca una lunga serie di società tra loro collegate, amministrate da persone riconducibili al vice presidente dell’Eni. Come scopre Calia, si tratta di alcune delle società elencate da Giorgio Steimetz in Questo è Cefis:i cui nomi sono stati sostituiti da Pasolini con altri, ma assonanti. Ad esempio, alla “Immobiliari e Partecipazioni” di Pasolini, corrisponde la In. Im. Par. (Iniziative Partecipazioni Immobiliari) di Steimetz. Alla “Spiritcasauno” e “Spiritcasadieci” di Pasolini, che devono il nome «al fatto che presentemente Carlo Troya abitava in via di Santo Spirito, a Milano» (Calia), corrispondono, nella realtà, la Chioscasauno e Chioscasadieci, così chiamate perché Eugenio Cefis abitava in via Chiossetto a Milano. Steimetz cita la Ge. Da. , poi Pro. De. (Profili Demografici s. p. a.) , Da. Ma. (Data Management s. p. a.) e System-Italia (la stessa società che aveva assunto la figlia del contadino Mario Ronchi di Bascapé), e Pasolini le elenca con acronimi assonanti:

Un anno dopo la “Am. Da.” viene incorporata dalla “Li. De.” (Lineamenti Demografici Spa), con oggetto “stampa e spedizione di lettere e corrispondenze, formazione di schedari ecc.”. […] Qualcosa insomma, tecnicamente, come un piccolo Sid […]. Poi la ‘Li. De.’ si trasferisce (appunto)a Roma […]. E la società prende il nome di “Da. Off.”, Data Office Spa. Ma per poco, perché ben presto […] la società si richiama di nuovo “Am. Da.”. E a questo punto […] la società ampliandosi, espandendosi, prende il definitivo nome di “Pattern italiana”[…] [17] (more…)

Come corsari sulla filibusta 2

10 ottobre 2010

di Carla Benedetti e Giovanni Giovannetti

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Ecco cosa scriveva Pasolini in uno schema riassuntivo di Petrolio intitolato Storia del petrolio e retroscena:

In questo preciso momento storico (I° BLOCCO POLITICO) Troya  sta per essere fatto presidente dell’Eni: e ciò implica la soppressione del suo predecessore (caso Mattei, cronologicamente spostato in avanti) [7]

Calia commenta alcune pagine di Petrolio nella sua Richiesta di archiviazione. E per primo coglie le analogie tra Questo è Cefis e il romanzo di Pasolini, collegando tra loro i fili di questa intricata matassa. Fatica però a reperire il libro di Steimetz. Non sa che una fotocopia si può trovare al Gabinetto Vieusseux di Firenze[8], proprio tra le carte di Pasolini, il quale a sua volta l’aveva ricevuta nel settembre 1974 da Elvio Fachinelli, psicoanalista e animatore della rivista “L’Erba Voglio”. Nella cartella dell’Archivio si conserva anche la lettera di Fachinelli a Pasolini, datata 20 settembre 1974: «Caro Pasolini, le faccio avere una conferenza di Cefis e una fotocopia del libro su di lui, ritirato. Forse le possono servire».
La “conferenza” di cui parla Fachinelli è il testo del discorso tenuto da Eugenio Cefis all’Accademia militare di Modena il 23 febbraio 1972 (pubblicato sulla rivista “L’Erba Voglio”, n. 6).  Pasolini si riproponeva di inserirlo integralmente nel romanzo, a mo’ di cerniera «a dividere in due parti il romanzo in modo perfettamente simmetrico e esplicito».[9]
Nonostante le comuni sintonie, Pasolini e Fachinelli non si conobbero mai di persona. (more…)

Come corsari sulla filibusta 1

6 ottobre 2010

di Carla Benedetti e Giovanni Giovannetti

Questo è Cefis. L’altra faccia dell’onorato presidente oggi finalmente in libreria. Pubblichiamo qui l’introduzione alla nuova edizione edita da Effigie.

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Nel 1972 arriva in libreria Questo è Cefis. L’altra faccia dell’onorato presidente di Giorgio Steimetz, una quasi biografia – non autorizzata – del presidente di Eni e Montedison, pubblicata dall’Agenzia Milano Informazioni di Corrado Ragozzino, di cui Steimetz è forse l’alter ego.[1] L’agenzia è finanziata da Graziano Verzotto, democristiano della corrente dorotea di Mariano Rumor, uomo di Enrico Mattei ed ex presidente dell ’Ente minerario siciliano. Fu anche l’informatore di Mauro De Mauro, il giornalista de “l’Ora ” di Palermo rapito e ucciso dalla mafia nel 1970. Così come era accaduto a Mattei sette anni prima. Così come accadrà a Pier Paolo Pasolini cinque anni dopo. Questo è Cefis vive solo pochi mesi, poi scompare. Dalle due sedi della Biblioteca Nazionale Centrale spariscono anche le copie d’obbligo; se ne trova ancora traccia nel registro di quella fiorentina, ma il volume non c ’è: «a ridosso della pubblicazione, gli uomini della Montedison si mossero efficacemente per toglierne dal mercato il maggior numero di copie possibile e scongiurare al Presidente l’eventualità di un ’inchiesta giudiziaria ».[2] Il libro, probabilmente pubblicato con l ’intento di avvertimento o di minaccia nei confronti di Eugenio Cefis, racconta la spregiudicata avventura di uno dei timonieri del pubblico-privato, la mescolanza di poteri tra Stato e le mafie sommerse economico-finanziarie.
Pier Paolo Pasolini sta lavorando in quegli anni sugli stessi temi e, forse, sta utilizzando le stesse fonti. Proprio nel 1972 comincia a scrivere Petrolio, il grande romanzo incompiuto, che sarebbe stato pubblicato postumo solo nel 1992, diciassette anni dopo la sua morte. Un romanzo del quale la critica ha spesso enfatizzato l’aspetto erotico – la doppia vita di un ingegnere petrolchimico – mentre il suo vero tema è il Potere. È un romanzo che cerca di rendere visibile il Potere in tutte le sue forme, attraverso “Visioni ”. [3] Vi si parla del Nuovo Potere che agisce sugli individui in forme capillari, attraverso imposizione di modelli, e che raggiunge anche i loro corpi. Vi si parla della banalità del Potere, quella che agisce attraverso la «col-lusione » innocente (dove “innocente ” sta per “nascosto alla coscienza”) degli individui, degli intellettuali, persino dei letterati, nel loro desiderio di carriera. Vi si parla anche del potere delle trame, quelle destinate a restare segrete. E anche di quello delle stragi. Si parla persino di una bomba fatta scoppiare alla stazione di Bologna [4] – quasi una profezia di quella che davvero sarebbe scoppiata il 2 agosto 1980.
Si parla anche dell’Eni, che Pasolini non considera solo un’azienda ma «un topos del potere ». E ovviamente della morte di Mattei. (more…)

Questo è Cefis. La nuova edizione

20 settembre 2010

Venerdì 8 ottobre torna in libreria Questo è Cefis. L'altra faccia dell'onorato presidente (edizioni Effigie) di Giorgio Steimetz. Nell'introduzione della nuova edizione, Carla Benedetti e Giovanni Giovannetti riprendono l'inchiesta del giudice Vincenzo Calia sull'omicidio di Enrico Mattei e confrontano l'introvabile opera di Steimetz con Petrolio di Pier Paolo Pasolini, di cui Questo è Cefis è tra le fonti principali. Il libro verrà presentato in anteprima domenica 26 settembre (ore 12) a Parole nel tempo, l'annuale rassegna sulla piccola editoria al castello di Belgioioso, presso Pavia. Interverranno Riccardo Antoniani, Carla Benedetti e Giovanni Giovannetti. Di seguito, la nota di copertina.
 

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Questo è Cefis, firmato da un misterioso Giorgio Steimetz, è un libro-verità assai documentato, dal piglio ironico e a volte canzonatorio. Arriva in libreria nel 1972, ma subito viene fatto sparire. E si capisce: è la documentata «inchiesta dal vero» sul potentissimo nonché “invisibile” presidente di Eni e Montedison Eugenio Cefis, una delle figure più inquietanti e controverse della storia repubblicana, quel Cefis che una informativa riservata del Sismi (il Servizio segreto militare) indica come «il vero capo della P2» e che nel 1971 viene nominato ai vertici di Montedison, il colosso chimico privato poco prima acquisito dall'Eni. Nelle sue mani – ha scritto il politologo Massimo Teodori – Montedison «diviene progressivamente un vero e proprio potentato che, sfruttando le risorse imprenditoriali pubbliche, condiziona pesantemente la stampa, usa illecitamente i servizi segreti dello Stato a scopo di informazione, pratica l’intimidazione e il ricatto, compie manovre finanziarie spregiudicate oltre i limiti della legalità, corrompe politici, stabilisce alleanze con ministri, partiti e correnti». Nel 1974 si scoprirà che il capo dei Servizi segreti Vito Miceli – tessera P2 n. 1605 – quotidianamente inoltrava informative al presidente di Montedison, quasi che il Sid fosse la personale polizia privata di Eugenio Cefis. Fiancheggiato dagli spioni di Stato Cefis monitora politici, industriali, giornalisti, aziende pubbliche e private. Questo inquietante scenario da pre-golpe è ripreso da Pier Paolo Pasolini in Petrolio, il romanzo sul Potere che la sua morte violenta gli impedì di terminare.
Petrolio riprende quasi alla lettera ampi paragrafi di Questo è Cefis e dei “mattinali” del Sid al «grande elemosiniere», reinventandoli narrativamente. Sono temi brucianti, che Pasolini tratta contemporaneamente sia nel romanzo che sulle pagine del “Corriere della Sera”. La sua denuncia avrà breve durata: la notte tra il 1° e il 2 novembre 1975 Pasolini muore massacrato da «tre siciliani» quarantenni (e non dal diciassettenne Pino Pelosi); nel frattempo altri provvedono a sottrarre da Petrolio il capitolo Lampi sull'Eni, «che – ha scritto Gianni D'Elia – dall'omicidio ipotizzato di Mattei guida al regime di Eugenio Cefis, ai “fondi neri”, alle stragi dal 1969 al 1980 e, ora sappiamo, fino a Tangentopoli, all'Enimont, alla madre di tutte le tangenti». La “strategia della tensione” non vuole destabilizzare; al contrario vuole consolidare un sistema che si muove con le bombe degli anni Settanta per arrivare con mezzi più subdoli alla presa del potere dei nostri giorni. In questo imperdibile libro-inchiesta di Steimetz, cui deve molto l'incompiuto e mutilato Petrolio di Pasolini, si trova la chiave di lettura di questo criminale asse politico-economico-mafioso. Sono pagine sull'Italia del doppio boom anni Settanta: sviluppo e bombe. Bombe stragiste, piduiste e mafiose. Uno «Stato nello Stato» che nel 1962 ha tolto di mezzo il presidente dell'Eni Enrico Mattei; nel 1968 il giornalista Mauro De Mauro; nel 1971 il giudice Pietro Scaglione; nel 1975, con ogni probabilità, lo stesso Pasolini. La catena dei delitti mafiosi e di Stato prosegue nel 1979 con la morte del vice questore di Palermo Boris Giuliano. Nel 1992 vengono eliminati e i magistrati antimafia Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Chi è Giorgio Steimetz? In quanti hanno lavorato a Questo è Cefis? Qualcosa sappiamo della casa editrice, l'Agenzia Milano Informazioni di Corrado Ragozzino, di cui Steimetz e forse l'alter ego. L'agenzia è finanziata da Graziano Verzotto (1923-2010), ex partigiano, democristiano della corrente dorotea di Mariano Rumor, segretario regionale Dc in Sicilia dal 1962 al 1966, nonché uomo di Enrico Mattei nell'isola e fiero avversario di Cefis. Nel 1967 Verzotto è nominato presidente dell'Ente minerario siciliano, carica che manterrà fino al 1975 quando, per evitare l'arresto (in una banca di Michele Sindona erano emersi dei “fondi neri”), il presidente di Ems ripara in Libano e infine a Parigi, sotto falso nome. Tornerà in Italia solo nel 1991, libero solo grazie a un indulto.
 
 
Giorgio Steimetz
Questo è Cefis. L'altra faccia dell'onorato presidente
edizioni Effigie – collana Saggi e documenti
pp. 236, euro 19
ISBN – 978 88 89416 56 3

Questo è Cefis 20

21 giugno 2009
Ultimo round per il k.o.
di Giorgio Steimetz

Quanto rendono le “Anonime” per lo sfruttamento degli idrocarburi? Quali profitti può garantire la ricerca mineraria, l’impianto e l’esercizio di officine per il gas, la costruzione di metanodotti, la distribuzione di gas liquidi e gassosi, il trasporto ai conCefisionari, la vendita all’ingrosso? La risposta è meno retorica di quel che l’interrogativo voglia sottintendere, sol che si giri la domanda nella direzione giusta: quanto dovrebbe rendere il metano in casa ENI, se veramente ne avesse l’esclusiva in Italia, se risultasse proprietario di tutte o di maggior parte delle società che abbiamo registrato nei precedenti servizi, anziché limitarsi, come fa, all’esercizio di poche, quali la “Metano Arcore”, la “Metano Casalpusterlengo” o la “Metano Sant’Angelo” (anche queste in gestione familiare, in sottintesa o palese collusione coi partiti e correnti)?
Domande assolutamente ingenue. Se l’ENI disponesse del monopolio settoriale, come farebbero a prosperare le “Anonime”, quale margine resterebbe all’iniziativa privata in questo campo? Meglio: la privata iniziativa, che accentra tre bande concorrenti ma non rivali, con alle spalle la ninfa Egeria chiamata Eugenio Cefis, il partito di maggioranza e in generale la mafia economico-politica che agisce impunemente, anche senza uscire affatto allo scoperto.
Delle tante (su tantissime) società che abbiamo passato in rassegna in precedenza, è possibile distinguere quelle in cui entra l’interesse del partito da quelle che fanno capo al Cefis e dalle altre, di dubbia catalogazione, ma di sicura subordinazione all’“Anonima”?
Non è certo possibile, almeno disponendo di mezzi limitati come i nostri di fronte ad una materia ostica, volutamente aggrovigliata, in cui uomini di paglia vanno e vengono e s’incontrano ad ogni passo, eminenze grigie si profilano in curiosi rientri, nomi e capitali e ragioni sociali si alternano, in assenza di perimetrazione tra azienda e azienda, di netti confini fra spazi d’interesse esclusivo o meno. Sarebbe come pretendere di cogliere la trama in un romanzo di Joyce.
La costanza c’è, e c’è la verità. Il filone, la matrice, l’ispirazione, il mandante emergono facilmente: manca appunto un filo logico narrativo. Ma questo basta a provare che i consiglieri agiscono a comando, le ragioni sociali fanno da involucro e l’attività si dirige verso scopi ben dissimulati, ma evidenti. I veri padroni stanno a monte; essi a valle non scendono mai, là dove si cerca e si smercia il gas, con le fatture che incrementano le entrate e i dividendi di fine anno.

Un gioco che vale molte candele

Le società del gas rendono. Altrimenti come avrebbe fatto un autentico avventuriero come Cefis a costruirsi in un paio di decenni un impero industriale e finanziario che va dalle immobiliari alle piantagioni in Canadà, dalle collezioni di tavolette votive alle produzioni in plastica, dalle cerniere lampo alle cointeressenze con istituti di credito, alle proprietà di società pubblicitarie, cinematografiche, di informatica applicata, come la “System Italia”, iI cui capitale sfiora il miliardo di lire?
In sintesi: nella misura in cui Eugenio Cefis può giustificare Ia sua potenza economica di oggi (e tutte le partecipazioni godute in Società), egli potrà liberarsi dall’accusa, abbastanza infamante, di capo mafia, di profittatore senza scrupoli del gas di Stato, essendo partito pressoché nulla tenente 25 anni fa.
Le società del gas rendono: se no come potrebbe la DC, in particolare Ia corrente di “Base”, gli uomini della sinistra federazione provinciale di Milano in ispecie, onorare spese di campagne elettorali, di affetti, di gestioni stampa, di iniziative, di compensi ai voti preferenziali, di apparati di corrente, di personale?
Anche per costoro vale l’identico discorso: quando ci diranno come e dove e chi ha dato i miliardi da mettere in attivo per sanare, in bilancio, un gigantesco passivo, allora cadranno anche le inevitabili accuse di galeotti di Stato, di servi disonesti di are e di altari, di e compiacenti d’un gioco inqualificabile.
Aspetti inquietanti del malcostume corrente. Il grave è che la gente non ci fa molto caso; che la Giustizia si va stancando di perseguire i ladroni di miliardi ed è costretta ad applicare le leggi con i ladruncoli di galline e i fumatori di contrabbando. Ancora più umiliante è assistere allo spettacolo indecoroso di codesti gentiluomini, legati alle nostre “Anonime”, coperti, garantiti, onorati in ogni campo. Nonostante l’evidenza, ventilata o documentata, di certe situazioni.

Un vecchio episodio incidentale

Vogliamo, per l’occasione, rinverdire un esempio, l’ennesimo della serie, assolutamente significativo.
Il peculato per distrazione è iscritto come reato nel nostro Codice, e non esige soverchia cultura giuridica per essere inteso. Distrazione (di personale) ne commisero Bazan del Banco di Sicilia ed Ippolito del CNEN (Comitato Nazionale Energia Nucleare), avendo disposto il movimento di certi dipendenti nei singoli enti, per conto degli Istituti, ma nell’interesse esclusivo dei mandanti. Bazan ed Ippolito, per il reato di distrazione di personale finirono in tribunale ed han subito la galera.
Eugenio Cefis non si accontenta di distrarre qualche unità, poniamo dell’ENI, per piazzarla dove lui mantiene interessi (privati) specifici. Cefis ne stacca a decine, da anni e per anni. Sono in molti a saperlo, oltre gli interessati (enti e persone), ma nessuno dice niente, tanto la cosa giova al dipendente, alla ragione sociale dove viene distaccato) al Cefis stesso, naturalmente. Che sa di essere perseguibile ma di non correrne il rischio, perché il silenzio è d’oro.
I nostri uomini al governo? Sanno benissimo queste ed altre cose: ma non parlano, non lo denunciano, non si oppongono alla trasgressione continuata di una norma di legge. La legge è lui, con i benefici che assicura in partibus infedelium.
Querelandoci, ci vedremmo costretti ad aggiungere ad altre prove anche qualcosa di nuovo. L’abbiamo fatto con Restelli Giuseppe dipendente ENI prestato al quotidiano (cattolico) “L’Avvenire”, un caso estremamente accessibile a qualsiasi emulo di Sherlock Holmes. Ma nulla è successo. Non ripeteremo l’errore, ululando a gran voce nomi e indirizzi, evitando di mettere i mafiosi con le spalle al muro usando archibugi, daghe e l’urlo della foresta. All’occorrenza, invece, sapremmo maneggiare armi ben più efficienti.
Ma torniamo al filo d’Arianna delle “Anonime”, per tirare in questa puntata la sua logica conclusione.

Schede emblematiche per un profilo

Dopo aver succintamente illustrato le varie ragioni di codeste società, varrebbe la pena di passare in rassegna gli autori e i registi che le manovrano.
Tralasciando l’ordine alfabetico, curando invece un criterio analogico, per classi o per gruppi, insistendo sulla triplice schedatura somatica dei clan. Citeremo insomma con più larga attenzione i nomi dei maggiori implicati, esaurendo alla fine con cenni sbrigativi i personaggi minori, i caratteristi e le comparse.
Abbiamo già detto che la “Anonima Metano” fa capo a tre cervelli distinti ma non concorrenti: Umberto Salanti (“Metanifera Alta Italia”, “Metanifera Sommese”); Alberto Visconti di San Vito (come il Salanti, nella “Alta Italia” e nella “Sommese”) e Giuseppe Maffei (“Aersodigas”, “Metanifera Sommese”, “Molteni”, “Metanifera Alta Italia”). Tre protagonisti che condizionano tutto l’apparato e l’attività dei tre gruppi, dei quali daremo una definizione qualsiasi, chiamandoli con le lettere greche, dell’alfabeto.
Troviamo allora gli esponenti del primo club del metano il gruppo “Alfa” Camillo Ripamonti, Bruno Manenti, Ernesto Vigevani, Enzo VaneIli, Bruno Bolla e Luigi Floridi. Eccone il singolo risvolto negli interessi metaniferi.

Ripamonti Camillo
Sindaco di Gorgonzola, Ministro in carica per la ricerca scientifica. Ha l’ufficio a Milano (ufficio politico) in via Crivelli, 15/1 e il quartiere economico che sorge al 26 di via San Marco. Risiede a Gorgonzola in via Serbelloni 4 È senatore democristiano di “Base” e miete migliaia di preferenze nel Lodigiano, dove è rilevante la sua popolarità di ras della zona.
Un bell’ingegno che nel ’56 con Vigevani è stato amministratore della “Metanifera Ambrosiana”, carica che avrebbe dovuto tenere per tutta la durata della società, mentre invece la ditta è passata – sulla carta a Silvio Sardi. Nel ’58 entra con Bruno Manenti nella “Lumezzane Gas” ed è in seguito riconfermato, sino al ’68 quando amministratore unico diventa il Manenti al posto del consiglio di amministrazione. Ripamonti scompare.

Manenti Bruno
Nato a Crema il 1° aprile 1908. Amministratore unico, come abbiamo detto, della “Lumezzane Gas”. Risulta inoltre nella “Metanifera Sommese”, nella << Metano Pandino”, nella “Metanodotti Bresciani” (amministratore unico), nella “Metanodotti Milanesi” (con Vigevani direttore tecnico), nella “Metanodotti Prealpini” (amministratore unico) .
Si rileva la sua presenza nell’“Aersodigas” (nel ’54: ora ci sono Olivieri Giuseppe e Bruno Bolla, con Maffei Giuseppe nel collegio sindacale); nella “Sime – Industria Metano” (consigliere d’amministrazione); nella Molteni – Industria Combustibili Liquidi e Solidi (insieme a Vigevani, Maffei & C.); nell’“Ero Gas Met” (amministratore unico); nella “Igegas” (consigliere con Vanelli e Olmi). Il nostro possiede in proprio la “Ladir”, una finanziaria con accomandante l’omonima di Vaduz; la “Carabelli” per l’industria e il commercio del legname, nonché la “Marivima” per la compravendita, la permuta e la vendita di fabbricati.
Tra tanta versatilità come riuscirà a trovare il tempo per schiacciare un pisolino? di cui fa parte e la così denominati gli occorreva un collegamento tra “l’Alfa” di cui fa parte “Beta” del Sardi – cioè fra due gruppi da noi così denominati – tra queste due e il terzo ramo quello del Carcano che noi chiameremo “Gamma”, stabilisce un ponte, dando vita alla “Conteam”: consulenza, progettazione di impianti metaniferi, distribuzione di energia elettrica e gas.
Personaggio di indiscutibile peso, di grande abilità e intelligenza imprenditoriale. Inferiore a Ripamonti, anzi sottomesso, ma di ingente apertura nel settore degli idrocarburi, dove rappresenta una sorta di esclusività specie per i metanodotti, oltre al fiuto dimostrato nel campo delle finanziarie e delle attività complementari e accessorie.

Vigevani Ernesto
È il tecnico del gruppo. Nato a Cortemaggiore (nomen et omen), dove un tempo sgorgava qualche barile di petrolio al mese, nel 1918, il geometra entra in relazioni d’affari tanto col Manenti (con funzione di direttore tecnico nella “Metanodotti Milanesi” e compiti di consigliere nella “Metanifera Sommese” e nella “Molteni”, dove e anche procuratore), quanto con iI Silvio Sardi (per il quale è stato nel ’54 consigliere nella “Metanifera Alta Italia”, nel 1956 con la stessa carica nella “Metanifera Ambrosiana”, neI 58 amministratore della “Sime” impianti metano, passata poi al gruppo Sardi).
Come gli altri, si presenta solo soletto in qualità di unico amministratore della “Vima” (sigla che richiama il duo Vi(gevani)—Ma (nenti): societa guarda caso dislocata prima di finire in via Brera, 28 proprio nella via San Marco, dove sverna in affari metaniferi il ministro Ripamonti). Sembra pacifico che Vigevani sia un uomo capace, ma anche un semplice prestanome offerto al Ripamonti (e ai suoi superiori) per camuffare l’Anonima.

Bolla Bruno
Non si tratta di omonimia: è uno dei Bolla fratelli che si occupano di produzione e commercio di vini, quei vini veronesi robusti come il Valpolicella, ai quali lo scrittore B. Marshall riconosce il pregio di tonici per il lavoro.
Dunque ottimi aperitivi anche nel campo degli affari. Però, come succede a Piero Bassetti con le telerie omonime, il suo nome non figura tra quelli dei proprietari, come sarebbe ovvio. Meglio forse accontentarsi del ruolo di direttore generale, appunto come il Bassetti, così non occorre dar risalto con la propria presenza al “Chi è finanziario”, rientrando nel novero dei capitalisti per i quali sono pronte le corde da forca.
Bruno Bolla è nato a Soave il 28-12-1925. La vocazione per gli splendidi vitigni locali, dal nome e dall’aroma dolcissimi, lo spinge stranamente ad imboccare la via del metano, un genere cosi agli antipodi con i vini pregiati. Eccolo amministratore (nel ’70) della “Tirrenia Gas”; lo vediamo, sino al ’69 quando la ditta cessò, nella “Estigas”, poi nella “Sodigas” (dopo Manenti, dal ’54, fino ad oggi); nel ’69 è introdotto nella “Società Nazionale Gazometri”. Curioso questo avanzare in sincronia tra Bolla e Manenti sul terreno scoperto da cui si ritirano i Verga; forse subentro per acquisto di azioni? Ipotesi plausibile con un regista oculato come Ripamonti, con supervisione non solo aulica di Cefis. S’affaccia poi nella “Lumezzane Gas” (con Manenti e Ripamonti); nella “Metanodotti Bergamaschi” (così chiamata sino al ’65, anno in cui si cambiò in “Estigas-città”, ragione che spiega la sopravvivenza della “Estigas” senza “città”). In codesta società risulta insieme a Sergio Maraja e Sergio Bolla (dei vini), con capitale di 300 milioni. Nella “Sovegas” è con Mario Bolla, sempre della dinastia dei Soave e dei Valpolicella, e con Luigi Floridi, mentre nella “Imigas” il Bruno è tutto solo. Almeno sulla carta.
In Italia come all’estero le ricerche minerarie e in genere l’attività nel campo degli idrocarburi esigono capitali, tecnici, agevolazioni, padroni sicuri e garanti. Questi ultimi non mancano, come sa benissimo anche Bruno Bolla. Del quale segnaleremo, in qualità di hobby d’investimento, la “Società Immobiliare Pubblici Esercizi”, costituita nel ’57 col capitale di dieci milioni. Forse la cosa gli serve per collocare insieme il vino e il gas, da farne almeno una bibita frizzante. Peccato (per il vino).

Floridi Luigi
Ultimo del gruppo “Alfa” è nato a Marengo il 7 settembre 1927. Risulta amministratore unico della “Gas Orobica” con capitale di 45 milioni per ricerca e sfruttamento d’idrocarburi; predecessore del Bolla nella “Metanodotti Bergamaschi” (oggi “Estigas-città”) amministratore unico della “Sovegas” (150 milioni di capitale) e della “Estigas” (senza città), prima che questa formalmente cessasse. Abbiamo così delineato (e riveduto) lo schieramento del gruppo “Alfa”, uno dei più agguerriti e potenti dell’intera rete distributiva dell’ “Anonima Metano”. Capitanata dal Ripamonti dietro il sottile schermo di discrezione della ragion politica, affidata in reggenza fiduciaria a Bruno Manenti e Bruno Bolla, con l’assistenza tecnica dl Vigevani e gli ottimi servizi di Vanelli e Floridi, la squadra gira perfettamente, dando soddisfazioni certe ai suoi supporters che vivono al razzo degli scudi crociati e delle tangenti sul silenzio.

L’impero del Sardi

Vedianzo ora di smaltire la seconda squadra “Beta” che ha proprio in Silvio Sardi l’esponente di maggior rilievo. Nato a Cernusco sul Naviglio, sessantenne, costituisce una delle figure più sconcertanti per dinamismo, potenza e investitara dell’intera “Anonima”. Come abbia raggiunto una posizione di tanto riIievo lo sanno Mattei e Cefis, Salanti e Ripamonti; oltre a pochissimi altri, iI diavolo compreso.
Autentico barone delle immobiliari e del metano, di cui non conosciamo l’iniziazione nel duplice girone. Siamo poco propensi, comunque, all’idea che i fortissimi profitti derivanti da conCefisioni di idrocarburi e da manovre immobiliari restino nelle sue mani; sarebbe ragionevoIe chiedersi invece a quanto ammonti la sua tangente e quali siano i canali recettivi degli utili così ripuliti.
Non è granché, nella nostra analisi, questo ritratto per identikit: ma e forse poco l’aver stanato un personaggio come Sardi, anche se non potremo facilmente identificarlo più da vicino?
Nel settore degli idrocarburi Sardi è interessato alla “Metanifera Alta Italia” (agguantata nel ’60 ed ora gestita dai suoi uomini; Piredda Salvatore, PasargikIian Wahan, Meda FiIippo); alla “Metanifera Ambrosiana” (dal ’56) di cui è amministratore unico; alla “Metanifera Martesana” (dove lo incontriamo già nel ’46); alla Azienda Officina Gas Acquedotti di Albenga (dal 1967), prima con gli amministratori Piredda e Malegori ed ora con Pasart giklian, Meda (e Piredda); alla “Cogim” (costruzioni esercizi impianti metano), da lui costituita nel ’60 ed ora amministrata dal duo Pasargiklian e Meda (figlio di Luigi e nipote del nume del Partito Popolare), con in più il Vaccari Antonio.
Questo trio di gestione lo rivediamo nella “Sime Guardamiglio” che ha registrato i passaggi del Vigevani Ernesto, del Sardi nel ’59, ed ora appunto è loro affidata. Ecco ancora la “Samem” (società azionaria mantovana erogazione gas metano), raggiunta nel ’62 ed attualmente custodita dai Meda, Piredda e Pasargiklian. Nella fitta messe di metanifere, oltre agli uomini di Sardi citati, troviamo anche Salvatore Calise, la signora Sardi Corazzi Rosalia, la signora Malegori Maria in Riva. Questo per suggellare il tema-Sardi in campo metanifero.
Riepiloghiamo adesso gli interessi del potente feudatario nel giro delle immobiliari.

“Castello di Mazzè”: compravendita, gestione di beni immobili ecc. Società per Azioni dal 1961, con Sardi Silvio (più Sergio Testori, Erba Enrico, Piredda Salvatore), capitale 1 milione.

“Cava Martesana”: estrazione e commercio di ghiaia, s.r.l. del 1959 con il Sardi, il Piredda, la Malegori Maria. Anche la ghiaia meglio degli idrocarburi concorre direttamente alla gestione immobiliare…

“Sarfin”: partecipazioni industriali, commerciali; operazioni finanziarie; s.a.s. del 1962, col Sardi, Ercole Starace, il Piredda e il Meda, Galbiati Giuseppe e Visentini Alessandro; capitale 30 milioni (in compartecipazione con la “Finanziaria Pilugiana”). Cointeressenze della Sarfin: Immobiliare Cascina La Rosa, Ongolo; Podere Baraccone Vecchio, IJbaldo, Mocol-Desa, Olearia, Fornaci di Milano, la Vecchia Pievaccia, Martesana, Imperiale. E altre. Un giro eloquente che suggerisce molte cose.

“Fornaci Riunite Cascinazza”: Società per Azioni sorta nel ’63. È del Sardi Silvio con Testori Sergio e Meda Filippo, mentre in passato c’erano anche la Malegori e il Piredda

“Immobiliare Fortuna”: una S.p.A. deI ’63 con il solito oggetto sociale, costituita dalla signora Malegori, su incarico di qualcuno (facilmente identificabile). Attualmente amministrata da Annamaria Bertetta.

“Sama”: compravendita, gestione, operazioni immobiliari. C’è il Sardi con Il Piredda e la Malegori.

“Sonia”: gentile appellativo per speculazioni immobiliari. Per Azioni, sorta nel ’63, con Alessandra Giuseppina Malegori (stavolta) e certi Enrico Montini di Monza e Livio Oriani, di Vimodrone.

“Fornace Brianco”: per la fabbrica di laterizi e ceramiche; costituita nel 1960; amministratore unico prima Silvio Sardi, poi la signora Maria Malegori.

“Esercizio Cinematografico Martesana”: per la gestione e la costruzione di locali di spettacolo. Attività sempre in espansione quella del Sardi. È una s.a.s. sorta, come S.p.A., nel ’60 con accomandanti la moglie del Sardi, signora Rosalia Corazzi, e la “Sarfin” già citata, poi anche la Malegori (dal ’67); accomandatario il Silvio Sardi.

“Immobiliare Agricola Ardens”: S.p.A. costituita già nel-’41, aggiudicata al Sardi nel ’63 (l’anno del boom) e gestita dallo stesso con la signora Malegori, dopo i passaggi e le relative procure al Piredda Salvatore e Testori Giovanni.

“Parea Seconda”: una immobiliare del 1960 con il Sardi oltre a Galbiati Giuseppe. Nel ’61 cambia in “Poasca Seconda”, mentre nel ’64 Sardi cede la quota alla Immobiliare Actna, con questa per socio accomandante e accomandatario un misterioso sudanese, Andrè Farhè.

“Immobiliare Banfa”: solito oggetto, solita formula; risale al ’69. Costituita da Maria Malegori che esce nel ’65 per far posto al Sardi, al Testori, al Meda (ora gestori), dopo un breve passaggio a Salvatore Pirredda.

Immobiliare Basile: risale come S.p.A. al ’37, ma Sardi vi entra nel favoloso 1963, portandovi in seguito il Piredda. Nel ’69 con atto pubblico si chiarisce che la società è amministrata unicamente dal Sardi Silvio. Chiarimento superfluo, se in tutte codeste imprese il padrone è uno e le teste di turco variano con scarsa fantasia.

“Immobiliare Cavallasco”: S.p.A. del ’63 con Alessandra G. Malegori prima, poi coi Testori (Giorgio o Sergio), il Piredda, il Sardi.

“Immobiliare dei Principi”: particolarmente congeniale al princtpe delle immobiliari, nel rispetto della sovranità altrui (il re è altrove, ma vigila o manda). Solita la ragione sociale. E del ’63, con il Sardi sempre, Piredda e Malegori Maria.

“Immobiliare della Croce”: la compravendita ecc. va benone, nonostante il richiamo severo del nome. Lo sanno, da quel ’63 che ha visto tante fortune del Sardi, questi e la Maria Malegori, il Piredda e nel ’70 un certo Nicoletti Francesco, oltre alla non irrilevante comparsa, Meda

“Immobiliare Colomba”: la tortorella, in questo caso, è la Malegori Maria, comandata dal 1963 ad amministrare sola sola (la fiducia del Sardi è sconfinata) la società.

“Immobiliare Cavaione”: nata sempre nel ’63 come S.p.A. ad opera della Maria Malegori (in Riva: da accertarsi chi è il consorte), vede l’ingresso di Zambardieri Gabriele (’67) con Silvio Sardi, e nel ’69 del Piredda, articolazione della Malegori, a sua volta braccio destro del Sardi.

“Immobiliare Monfalcone di Rivolta”: società per azioni nel ’49, raggiunta dal Sardi nell’anno santo 1963; quattro anni più tardi, breve apparizione del Piredda. Dal ’69 amministratore unico Silvio Sardi

“Immobiliare Cascina La Rosa”: il principe ama la vita agreste. Risiede a Cernusco, fuori delle grandi metropoli in cemento; si trova bene nelle vecchie case di campagna. Nel 1959 costituisce per le solite operazioni immobiliari anche questa società, facendovi entrare la Rosalia Corazzi (sua moglie, nata a Pozzuolo Martesana). Pero nello stesso anno la signora esce dalla società che il Sardi trasforma in accomandita semplice, diventa accomandatario avendo per controparte la “Sarfin” e la rientrante (per la finestra) signora Rosalia. Nel ’64 il gioco si inverte perché esce lui ed entra la Malegori. Gioco divertente, ma certo proficuo: negli affari il sesto senso ci vuole.

“Ongolo”: una S.p.A. presa dal Silvio di Cernusco nel 1960, trasformata in s.a.s. con soci la Rosalia Corazzi e la “SarEn”. Nel ’64 Malegori Maria subentra al Sardi, così come l’Alessandra Giuseppina (Malegori) sostituisce la sorella nel ’67. Anche qui giri viziosi suggeriti da esigenze tecniche di prim’ordine.

“Podere Baraccone Vecchio”: anche con questo baraccone ottimi affari garantiti attraverso l’acquisto, la costruzione e la canalizzazione del terreno stesso. Accomandante dal ’67 con 20 milioni di capitale, il Sardi, avendo per garanti la “Sarfin”, la Malegori bis e la Rosalia.

“Generalcase”: per la compravendita di beni immobili. Costituita nel ’62 come accomandita semplice da certo Bettinetti Giacomo accomandatario e dalla “Sarfin”. Nel ’64 il Bettinetti è sostituito da Alessandra Malegori, nel ’66 la procura va ai soliti Sardi e Calise: a quest’ultimo viene revocata, ovviamente, appena il bene della società lo richiede, cioè subito dopo.
Non è per tirare un respiro di sollievo che l’elencazione si interrompe. Lo facciamo soltanto perché il linguaggio astratto di queste derivazioni immobiliari o meno del grande impero sul quale, come la regina Vittoria, domina pacifico (o discreto) l’innominato, minaccia di perdere significato per l’inesauribile dovizia di partecipazioni e interessi, trascritti come si conviene con fedeltà e pignoleria La materia, ripetiamo, è grigia, al punto che la fatica maggiore si riscontra nel leggere anziché nello stendere queste note. Come ogni documentazione, vuole essere esatta ed esemplare. Al punto da risultare interminabile, nonostante si siano volute correre soltanto alcune piste. Eccone pertanto le nuove voci, atti unici con gli stessi protagonisti e soprattutto con l’identica regia e supervisione.

“Immobiliare Ubaldo”: la s.r.l. è del 1949. Sardi vi entra nel ’52 in qualità di amministratore unico. Nel ’57 fa capolino la moglie Rosalia Corazzi. Nel ’62 la società si trasforma in s.a.s., accomandatario il Silvio Sardi e accomandanti “Sarfin” e signora Rosalia. Nel ’64 il padrone cede il posto alla signora Malegori che lo passerà poi nel ’67 alla sorella Giuseppina Alessandra.

“Mocol”: sorta a responsabilità limitata nel ’57, accoglie come amministratore unico il Sardi nel ’59 (compravendita immobili). Si modifica in s.a.s. nel ’63 con gli accomandanti “Sarfin” e Corazzi Rosalia (accomandatario il Sardi), uscendo in seguito la signora Sardi in favore della Malegori (Maria).

“Olearia”: stavolta si tratta di un’impresa di costruzioni sorta nel ’62 come s.a.s., con Luigi Penati accomandatario e la “Sarfin” accomandatario. La Malegori Alessandra prende il posto del Penati nel ’65, mentre due anni dopo subentra la Maria a surrogare l’Alessandra.

“Societa Anonima Fornaci di Milano”: nel campo dei laterizi e nelle ceramiche si profilano prospettive incoraggianti. Il Sardi comprende e nel ’57 agguanta la società, attiva da 16 anni, trasformandola nel ’60 da S.p.A. in s.a.s., lui accomandatario, “Sarfin” e la Corazzi accomandanti. Come accade sempre, nel ’64 la Malegori Alaria sostituisce la moglie di Sardi e si toglie la procura al Calise, attribuitagli nel frattempo.

“Immobiliare la Vecchia Pievaccia”: romantica e clericale denominazione, voluta nell’anno fausto 1963, congiuntamente, dalla “Sarfin” e dalla Malegori. Nulla di vecchio e di spregiativo in quest3 impresa che cambia protagonisti ma non attività e che probabilmente continua ad assicurare guadagni agli interessati, al riparo da soverchie indiscrezioni di un fisco amabilmente tollerante.

“Marsa”: sorta nel ’63, viene intestata, caso unico, alle due Malegori. Altro fatto insolito: nello stesso anno, muta da s.a.s. a societa per azioni. Ancora, tanto per cambiare: nel ’67 l’Alessandra estromette, con buone maniere (crediamo), la Maria, divenendo amministratrice unica.

“Immobiliare Fulmine”: per azioni dal ’59. Ragione sociale: iniziative lmmobiliari, ma anche finanziarie (da svolgersi con la rapidità sottintesa dal nome). Nel ’61 Sardi e Galbiati soppiantano i fondatori, Gianzini e Servegnini. Solita trasformazione in s.a.s. con la Malegori da una parte e la “Olearia” dall’altra, già da noi incontrata.

“Immobiliare Imperiale”: deve funzionare bene, nonostante la cacofonia. Allusiva questa s.a.s., nel quadro del dominio in affari del Sardi. Dal ’63, con Maria Malegori accomandataria e la “Sarfin ”, con certi Manetti Edmondo e Liprandi Domenico accomandanti, si specifica che l’immobiliare durerà—a Dio piacendo sino al ’74. Evidentemente dopo tale scadenza il Sardi pensa di potersi ritirare in riviera, dimenticando questa congerie di imprese e di rischi.

“Immobiliare Desa”: è una delle prime s.r.l. del Sardi che la fonda nel ’52 con sole 50 mila lire di capitale. Nel ’63, quando tutto sembra oro sotto il sole del boom, diventa s.a.s. (artifizio plausibile a tutti, anche a chi come noi non mastica granché di ragioneria finanzlaria e di economia applicata). Accomandatario il Sardi e accomandanti la “Sarfin” e la Corazzi. Diventa titolare (di nome) l’Alessandra Giuseppina nel 1967.

Le punte di diamante dello Stato Maggiore

I nomi degli aiutanti di campo di Silvio Sardi li abbiamo incontrati, minuziosa monotonia nel lungo indice delle attività connesse al grande finanziere, amico di Cefis. Di essi daremo qui un succinto curriculum, così da ampliare meglio il discorso e da fornire notizie anagrafiche di un certo interesse nella vicenda.
– Calise Salvatore: nato a Porto d’Ischia nel 1906 e residente a Milano in via dall’Ongaro, 24 (dopo aver vissuto a Roma sino al 1927). Suo compito, esercitare le procure, almeno in via provvisoria, per conto del capo. Altro non sapremmo attribuirgli, ma ci pare che sia abbastanza.
– Corazzi Rosalia: consorte di Silvio Sardi, nata a Pozzuolo Martesana nel 1915. Sembra destinata, almeno nelle radiografie finanziarie qui riprodotte, ad essere regolarmente soppiantata dalle due Malegori, le quali imperversano con assoluta puntualità in fatto di presenze e di rientri. Non fa in tempo ad affiancarsi nelle società del marito che trova le due a levarsela dai piedi.
– Malegori Maria: coniugata Riva, è nata a Villasanta, alle porte di Monza, il 13 gennaio 1931. Peccato che ben poco si sappia del marito. Abbiamo ricordato tutte le società in cui esercita, tranne una, l’“Azienda Officine Gas – Acquedotti di Albenga”, sorta nel ’67 come società per azioni con 6 milioni e 650.000 lire di capitale, per iniziativa sua e di Piredda Salvatore, ora amministrata dal trio PasargiklianMeda-Piredda. I rapporti col Sardi, dal lato economico produttivo, sono molto stretti, perché il suo nome è ricorrente in quasi tutte le iniziative immobiliari o meno del Capo.
– Piredda Salvatore: nato a Roma il 7 dicembre 1911. Con il Calise, è uno dei due “Salvatore”, il primo anzi, con parti più rilevanti anche se piuttosto subordinate in genere. Rimane da vedere se, come dubitiamo, egli controlla (su mandato) il Sardi, o se ne è il fedele collaboratore. Accreditiamo la prima ipotesi, per quanto romanzesca, proprio perchè la staff della “Anonima” è meticolosa nelle sue manovre e adopera una astuzia diabolica anche nella dislocazione dei reparti, siano pure fidati e di lunga esperienza.
– Pasargiklian Waban: nonostante il nome armeno, è nato a Milano-Affori, come abbiamo già visto, nel 1920 e vi risiede in Corso Matteotti, 11. Con Filippo Meda, il doppio junior, è fiduciario del Sardi, con azioni in rialzo, a giudicare dalle nomine (sue e del Meda), nei consigli di amministrazione; a spese (apparenti) delle Malegori e dei Salvatori (Calise e Piredda), ma in perfetta sincronia di lavoro e di profitti. In fondo sono tutti volenterosi emissari di una sola sorgente.
– Meda Filippo: figlio dell’onorevole, ex vice sindaco di Milano, Luigi (ora defunto), e nipote dell’altro Filippo che chiameremo il grande tanto per non causare errori di omonimia. Nato a Milano il 16 marzo 1929: quasi coetaneo del socio Wahan, dunque. Fiduciario anch’egli del Sardi, tanto nelle metanifere che nelle immobiliari. Per giunta (o per premio?), lo vediamo pure consigliere comunale di Milano, forse per far rimpiangere meglio il nonno; il quale si occupava sì di politica, e come, ma soltanto di questa, senza mettere le mani in affari.
– Vaccari Antonio: nato a Cento (Ferrara) nel 1901, ma residente a Milano nello stesso palazzo del Calise, in via Dall’Ongaro n. 24, tipico personaggio utile e di comodo. Un tale cui affidare (e togliere) le procure, da mettere qua o là nei momenti di vuoto e di vacanza delle società, da sostituire quando è necessario, dimenticato il vecchio proprietario, far entrare il nuovo. Le immobiliari, come le aziende di idrocarburi, sono popolate di questi generici che rientrano, consumata la loro parte di responsabilità, nell’anonimato.
– Malegori Giaseppina Alessandra: sorella (se non andiamo errati) della Maria, essendo nata anche lei a Villasanta, un anno dopo, nel 1932. Oltre alle sue partecipazioni in casa Sardi, aggiungeremo che fa parte della “Immobiliare Vignatese” (Via Dandolo, 4, dove abitano Umberto Salanti e Luigi Padoin e dov’era domiciliato Cefis). Nella immobiliare c’è Adele De Giorgi, ma anche l’Enrico Aristo Aureggi, socio con Salanti & C. (e titolare di parecchie metanifere ed altre finanziarie).

Il gruppo a conduzione familiare

Esaurito così, con la verve abbastanza stanca delle ragioni sociali e delle contaminazioni varie, il secondo squadrone della “Anonima” che abbiamo chiamato “Beta”, veniamo all’ultimo, il “Gamma”, tipica consorteria d’affari a gestione quasi artigianale. Non impiegheremo molto tempo per esaurire queste schede biografiche di personaggi che possono sembrare minori ma che nell’economia dell’insieme hanno la loro rilevante importanza.
– Carcano Gaetano: nato a Milano il 21 febbraio 1898. È stato, con Salanti & C., fondatore nel ’52 della “Metanifera Alta Italia”. È amministratore unico (35 milioni di capitale) della “Metanifera di Milano”; della “Metanifera Pontirolo Nuovo” (s.r.l. con 10 milioni di capitale); della “Metanifera di Canonica d’Adda” (stessa formula e cifra della precedente); della “Metanifera Dell’Oglio”, ora a Crema; della “Metanifera Gessatese”; della “Metanifera Alta Brianza” ( 120 milioni di capitale); della s.r.l. “Cometa”; della “Conteam” (qui in socio con i figli sino a quando la società è stata ceduta al Manenti); della “Empagas” (in socio con Giulio Arcelloni, fratello dell’Ernesto della “A1fa Metano”). Risulta infine titolare di quell’“Istituto per la Edilizia Familiare” di cui abbiamo fatto cenno in precedenza.
– Mela Maddalena in Carcano: consorte del Gaetano, nata a Sassari nel 1904. E’ socia col marito nella “Cometa”, nella “Gessatese” e nella “Dell’Oglio”. Quando si tratta di affari, anche la moglie può contribuire in modo proficuo e discreto.
– Carcano Pietro: certo il figlio, nato a Milano nel 1943. Figura nella “Metanifera Dell’Oglio”, ma data l’età del padre, c’è da ritenere che raccoglierà l’eredità di numerose aziende paterne.
– Carcano Enrico: nato a Milano nel ’39. Da primogenito, coadiuva il padre in diverse società: la <e Dell’Oglio”, la “Gessatese”, la “Conteam”, la “Metanifera Alta Brianza” (quella con appena 120 milioni di capitale).
– Della figlia Maria Carcano, interessata a “La Vita” per facilitare i giovani sposi alla ricerca di pane sì, ma anche di un capanna, abbiamo gia detto.

Il cerchio della terza serie in cui è suddivisa la “Anonima”, è abbastanza ristretto, ma gli affari prosperano egualmente. Per conto di chi? E’ l’interrogativo ricorrente in queste elencazioni, tra le quali un lettore distratto potrebbe perdersi, cioè smarrire il filo d’Arianna deI labirinto Cefis. Si può anche in questo caso reputare i Carcano come dei semplici paravento, ma di più ora non è possibile appurare.
I supplementi d’indagine, non per curiosità o indiscrezione, possono legalmente ampliarli coloro cui è demandato di andare sino in fondo. Noi ci limitiamo ad esemplificare le ragioni e i nomi di quanti risultano iscritti al sodalizio metanifero-immobiliare di apparenza assolutamente anonima, ma di contensto e di gestione altrettanto chiaramente ispirati da un solo maresciallo d’Italia. In fondo ci troviamo ad ammirare dei campioni delle riforme: per la casa e per Ia patria; l’edilizia e il metano, strutture del progresso nazionale.

Controfigure, coristi, comparse

Siamo giunti alla stretta finale del nostro racconto per vite parallele sulla “Anonima” del metano. Abbiamo raccolto gli elementi ufficiali delle diverse biografie, alquanto succinte e pur sempre, esaurienti. Potremmo tirare in ballo comunque qualcuna delle figure minori, scusandoci di questa ennesima ricaduta nell’inevitabile elencazione.
– Barracchia Vittorio: anni 64, di Barletta. Uomo di Sardi, in quanto interessato alla “Metanifera Alta Italia”, alla “Samem Metano”, alla “Sime Guardamiglio”.
– Biondlni Paola: sindaco nella “Metanodotti Prealpini” e “Metanodotti Bresciani” e quindi legata in affari con Manenti, del settore “Alfa”.
– Cattarozzi Asgusto: anni 45, da Isola del Piano. Uomo di Manenti, piazzato alla “Metano Pandino” e all’“Alfa Metano” (con Arcelloni).
– Crotti Pietro: da Offanengo, anni 75. Amministratore della “Gasmeter” e sindaco delle due “Metanodotti” (Bresciani f Prealpini).
– Garbagnati Umberto: da Crescenzago, anni 76. Compagno del Salanti ( anche nella “Fingraf” e nella “Rimoldi”, oltre che nella “Metanifera Alta Italia” ).
– Galbiati Giuseppe: del reparto Sardi. Nato a Milano nel 1928. Socio nella “SarEn” la potente Enanziaria , nella “Metanifera Martesana” e nella “Immobiliare Poasca”.
– Ghidoli Pasquale (padre) e Tullio (Eglio) da Vittuone. Sono del primo squadrone, in quanto entrano nella “Molteni”, guidata dal Ripamonti Ministro.
– Maraja Sergio: anni 52, di Verona. Gruppo Manenti-Ripamonti perché interessato alla “Estigas” e alla “Metanodotti Bergamaschi”.
– Olmi Renato e Luigi: impegnati nella “Sime”, “Igegas”, “Ero gas-metano”, “Metanodotti Prealpini”, squadrone Alfa.
– Olivieri Giuseppe: nato nel 1933 a Milano. t nella “Sodigas” e nella “Aersodigas”.
– Pirola Mario: di Cernusco sul Naviglio (patria del grande), guppo Sardi. Presente nella “Metanifera Ambrosiana” e nella “Gessatese”.
– Starace Ercole: anni 68, di Milano. Del gruppo Beta in quanto interessato nella “Martesana” e nella “Sarfin”
– Sqaazzi Rino. primo gruppo perché della “Esti-gas”, della “Gas Orobica”, della “Metanodotti Bergamaschi” (ManentiRipamonti).
-Visentini Alessandro: da Motta di Livenza, anni 68. Gruppo Beta ( “Martesana” e “Sarfin” ).

Non ci ripeteremo per Umberto Salanti, Giuseppe Maffei, Alisconti Alberto di San Vito, dei quali abbiamo lungamente trattato.

Fuochi d’artificio finali

Quale l’entità globale di questo carosello di nominativi, oggeto formulazioni societarie, capitali, cointeressenze?
Signori: verifìchiamo i bilanci delle singole società per appurarlo. Quali i ricavi netti della casamadre dei tre squadroni d’assalto dell’“Anonima Metano”? Si potrà constatarlo per difetto controllando chi sta dietro. Un’irruzione, dei sigilli, una inchiesta. Basterebbe. Ma dubitiamo che si voglia arrivare a tanto.
Speculazioni fondiarie, edilizie. Comparse, figure di secondo piano. Società in accomandita semplice; società Finanziarie e di partecipazione industriale e commerciale: la strategia comune per riservare alle attività quel velo di discrezione e di silenzio che serve.
Su tutto veleggia l’ossequio dei politici, perché la componente partitica emerge grandiosa nell’arazzo delle metanifere, cosi come l’apporto delle immobiliari è garanzia Enanziaria di prim’ordine.
A metterci il naso c’è da correre il rischio di confondersi, di perdere il fiIo. Possibile che tanta astuzia e tanta perfetta organizzazione anonima possano oggi prosperare in Italia? Che il nostro Paese, terra di carte da bollo e di cambiali, repubblica che incoraggia e tutela il risparmio (postale), patria di metalmeccanici che reclamano te non è detto che abbiano torto) uno stipendio da docenti universitari e di docenti universitari che fanno gli attivisti Come dei metalmeccanici (con poca ediScazione dell’opinione pubblica, la quale conta un accidenti), abbia miliardari sfrontati e riveriti che manovrano alle spalle dello Stato, facendola in barba a tutti come sutentici parassiti promossi al ruolo di benefattori dell’economia nazionale, talent-scout alle sconosciute risorse minerarie e del potente metano padano?
Possibilissimo. Almeno Finchè Cefis tiene in mano le redini. Togliendogli la maschera e controllando lui, le sue azioni, i suoi compari si potrebbe far luce; restando edificati.
Il nostro lavoro, estenuante e solitario, è fnito, almeno per ora. Per quanto rimanga parecchio da approfondire, da comparare. Dovremmo ricominciare da capo, con gli stessi nomi e nuove “ragioni”. Ma questo dovrà farlo all’occorrenza lo Stato.
Non contiamo sui vari ministri e sulle personalità politiche alle quali abbiamo fatto vedere i nostri servizi. Essi non hanno mosso un dito, né lo muoveranno a questo secondo round. Per la ragione elementare dello squilibrio di potenza: la Anonima e il dott. Cefis sono straordinariamente più forti di noi. Sono anzi vendicativi e la verità, in questi casi, è vestita di stracci.
A meno che non provveda la Giustizia e per questa il Procuratore della Repubblica. Questo di Cefis è uno degli scandali più grossi dell’epoca, nel nostro Paese. Alla Montedison continuerà a curare gli affari di Stato e quelli del Cincinnato che è lui: ricco, intrigante, trasformista. Il suo posto non stona accanto agli Ippolito e ai Bazan. Diciamolo con una certa franchezza, in nome non delle nostre modestissime attese, ma della Giustizia con la maiuscola.
Chiedere la fine della mafia è soltanto un dovere per un cittadino, una forma di deontologia per il giornalista. E’ quello che domandiamo a gran voce, sicuri di perderci ancora una volta nel coro degli osanna, ma certi, ugualmente, che qualcuno ci ascolta: e annota, e intende, e vuole.

Questo è Cefis (pp.259-279) – FINE

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Questo è Cefis 19

15 giugno 2009
Nell’orbita del sole nascente
di Giorgio Steimetz

Col metano in Italia si possono costruire affari d’oro. Chi lo concede, vuole la sua aliquota di benefici. Chi se ne occupa, attraverso le società ne ricava degli utili considerevoli. Le stesse correnti dei partiti ricorrono al metano, anche in via di traslato, perché i benefici finanziari che una DC può assicurarsi da qualche manovra politica (a Milano col federale Marcora, magari), riescono ad azzerare deficit paurosi derivanti dalla gestione dell’apparato, dalle diverse campagne elettorali, dalla caccia, specialmente al voto preferenziale. Senza volerlo abbiamo delineato tre gruppi. Essi costituiscono, come già abbiamo avuto modo di accennare, la cosiddetta anonima-metano. Il primo gruppo, padronale o dirigenziale, stabilisce a chi assegnare l’idrocarburo in lavorazione. Per poterlo fare deve naturalmente avere (e aver avuto, in un presente storico che è ancora attuale) le mani in pasta. Deve stare dentro l’ENI, per di più al massimo grado di responsabilità.
Mattei prima, Cefis dopo, hanno abilmente maneggiato questo magico potere.
Morto il primo, è rimasto padrone del campo il secondo.
Anzi, con la esperienza acquisita o con la conoscenza tempestiva e sicura dei piani di attività dell’Ente, si possono stabilire, fuori dell’ENI ma in parallelo, interessanti raccordi, anodine società (in proprio o per rappresentanza di amici), private a tutti gli effetti e assolutamente discrete, ma ausiliari rispetto all’ENI stesso. Meglio definirli affari privati in atti d’ufficio, come li chiama il codice. Ma chi può perseguire in Italia imprese tanto protette d’immunità e silenzio? Si infliggono mesi quattro ad un operaio che ruba un libro dall’edicola della stazione di Palermo o si tronca Ia carriera ad un Ippolito o ad un Bazan, ma gente come Cefis, per ben altre distrazioni, non si tocca. Questo è un (incidentale) amarissimo risvolto della realtà.

La lega degli Onesti

Un secondo gruppo si articola in parte di teste di turco, uomini cioè che appaiono sugli atti sociali in conto terzi i quali non possono né gradiscono risultare (perciò incontrando i Salanti, i Visconti di Sanvito, i Maffei, risaliamo subito alla fonte e notiamo in filigrana il Cefis); in parte da uomini che il metano l’hanno sperimentato perché coi proventi della costruzione di reti e tubature, dell’esercizio di officine per il gas, le ricerche, lo sfruttamento, il trasporto e la vendita, si assicurano una percentuale di tutto rispetto, come ogni paga d’operaio che si rispetti (come fanno i Ripamonti Camillo, i Sardi, i Carcano, i Manenti, i Vigevani, tra i più noti), pur garantendo una tangente in diversa misura e in conseguenza di singoli accordi, ai ras di partito, alle correnti avanzate, alle federazioni provinciali. Il terzo gruppo è costituito invece soltanto dai beneficiati; vale a dire gli uomini del partito (di maggioranza, ma anche di altre minoranze) ai quali compete l’obbligo di spendere bene quel che hanno avuto graziosamente.
Essi devono mantenersi senza esercitare una comune professione; possedere case, terreni, segretarie, hobby e giornali; imporre poi con il peso del denaro (fruttato dall’oro nero) il proprio pensiero in politica, sì da farlo coincidere, ovviamente, con quello del Capo, anzi come lo chiama Marcora del Presidente (perché di Presidenti non ve ne possono essere altri), il quale tutti condiziona e manda o assolve con l’autorità e il prestigio del proprio nome, Cefis.
Malcostume o immoralità, non cambia molto. Come non muta la ramificazione di interessi oscuri chiamando in causa l’appellativo mafia. E’ un fatto che si tratta di una lega di prepotenti che agisce alle spalle dello Stato e del contribuente, ai margini della giustizia, impedendo insieme ogni sguardo indiscreto di chi potrebbe indagare.
Si prova disgusto passando in rassegna questa staff di imbroglioni ad alto livello, considerati in genere ottimi funzionari, integerrimi o almeno rispettabili) tutori della cosa pubblica, siano essi al governo nel partito, al Parlamento, nell’industria di Stato o parastatale. Spudoratezza eccellente, da manuale; curiosa analogia di azioni e di profitti con il fango petrolifero, che assicura uno strapotere incredibile.
E pensare che basterebbe una nostra articolata (tra decine e decine) denuncia per portare dritto dritto il capolega e i suoi scherani a San Vittore o a Regina Coeli (è da vedere dove il magistrato, che non c’è, indicherà una sede per legittima suspicione).
Magari la più semplice accusa da noi formulata: quella della distrazione di personale, ossia l’assegnazione in trasferta di incarichi diversi di persone distaccate a spese dell’Ente Nazionale Idrocarburi presso i più disparati posti di osservazione. Decine e decine di casi, a cominciare dal Restelli Giuseppe all’“Avvenire” e finendo con lo stesso autista ufficiale di Cefis, Breda e della seconda segretaria, Radini Tedeschi.

Nuove tracce per un’inchiesta

Non si muove nessuno. In questo nostro paese, ricco di speranze e di sottoccupati, di sfumature politiche e di Mezzogiorni, di emigranti e cantautori, ma anche di mafiosi e multimilionari, basta un poco di fiuto, di flessuosità e di intelligenza per tenere in iscacco tutti i poteri, tutti i bracci, laici o ecclesiastici, tutte le fonti, informazione compresa.
A che serve allora dilungarci in una citazione di tracce e di indizi, tutti abbastanza collegati tra loro, tutti innaffiati più o meno di metano? Forse gioverà a coprirci le spalle, a documentare le nostre accuse; col rischio, beninteso, di finire condannati per aver detto la verità, come mostrano ben più illustri precedenti.
Riprendiamo ancora una volta il filo del nostro discorso analitico.
Dovendo riannodarci all’elenco prolisso e inesauribile delle anonime del metano, diamo senz’altro la precedenza (ancora) al prode e assai intraprendente Ministro per la Ricerca Scientifica, che coltiva anche la passione della ricerca (e sfruttamento), di idrocarburi. Un attività meno prestigiosa sul piano sociale di quella d’un Dicastero, ma che forse gli assicura benefici più consistenti, ammesso che Cefis e il Partito lo lascino almeno usufruttuario di qualche ben remunerata presenza.

“Lumezzane Gas”
Costituita nel 1955 e itinerante in Milano (da Via San Marco a via Sismondi; da via B. Sassi a Via Reina, fino a via Haiech).
L’iniziativa va fatta risalire all’operoso Bruno Manenti, per curare nuove operazioni di ricerche minerarie nel sottosuolo nazionale ed estero e di sfruttamento degli idrocarburi di produzione propria e di terzi. Il patrio suolo, si vede, non basta più. Occorre emigrare con squadre specializzate in aiuto all’ENI o addirittura in concorrenza col gigante italico del petrolio.
Naturalmente la società abbisogna di un consiglio di amministrazione in gamba. Tant’è vero che se notiamo un Polenghi Michele (nel 1958), nome il quale non esprime molto, ci imbattiamo anche in un Ripamonti Camillo, ingegnere (e poi Ministro), nel ruolo di Presidente. Riconferma puntuale per il triennio successivo, a due riprese, sino al ’66.
Un anno dopo, colpo di scena, consueto al Ripamonti: questi scompare (insieme al fido Michele Polenghi) e diventa procuratore il Manenti, solo ma non indisturbato. Il Ministro è uscito
unicamente per delicatezza, per non compromettersi, con l’acrobazia di mestiere congeniale agli uomini politici. Comunque egli resta nei couloirs della faccenda.
A questo punto ci pare suggestivo riepilogare la presenza di Bruno Manenti in un primo gruppo di società; il cremasco non è certo una figura di secondo piano in codesto affare di metano, se può permettersi di trafficare i suoi talenti attraverso la “Ladir” (capitale 50 milioni) per la compravendita, gestione di partecipazioni, finanziamenti di attività immobiliare, di cui è accomandatario, avendo per accomandante la “Ladir” appunto Anstalt di Vaduz Compartecipazioni care anche al nostro Cefis.

Un soggetto da inquadratura

Mettiamo ancor meglio a fuoco questo personaggio.
Lo troviamo ancora nella “G. Carabelli”, costituita nel ’49 con 40 000 lire di capitale per l’industria e il commercio del legname e la sua lavorazione. Nel ’52 il capitale è portato ad un milione e mezzo circa. Nel ’58 diventa amministratore unico la moglie, Gianna Agello. Nel ’65 da Anonima che era, diventa s.a.s. Ovvio: come potrebbe diversamente il Manenti risultarne accomandatario, avendo per controparte la “Ladir” (cioè se stesso più la solita “Ladir Anstalt”)?
Lo vediamo inoltre nella “Marivima”, altra società per azioni fondata nel ’58 per la compravendita, permuta e costruzione di fabbricati, con amministratore unico un innocuo Giuliano Gianluigi. Nel ’58 ancora si rivela il Manenti, portando il capitale da uno a ben cinquanta milioni. Nel ’65 la consueta trasformazione in società per accomandita semplice, così da consentire all’interessato l’abbinamento Manenti-Ladir.
Se volessimo conoscere in quante e per quante società la “Ladir” funziona egregiamente, dovremmo chiederlo al fiduciario di Ripamonti, cioè al cremasco Manenti.

“Ero Gas Met”
Una società rispettabile di ben 300 milioni di capitale in azioni da mille lire, per la ricerca e lo sfruttamento di idrocarburi e l’eror,azione del gas, costituita nel 1959. Nel ’67 il Manenti Bruno amministratore unico, nomina gestore del metanodotto di Monterotondo Nicola Santarino. Nel ’70 altro sviluppo: apertura di un ulteriore esercizio a Narni Tegarolo (Roma). Lo consentono i bravi sindaci Paola Biondini, Luigi Olmi, Giuseppe Piloni.

Immobiliare Gestioni Gasdotti “Igegas”
Nata nel 1951 come s.r.l. con un capitale di 60.000 lire pretendeva di gestire impianti di reti per la distribuzione del gas metano e di altri gas fluidi. Naturale che l’amministratore unico, Bruno Manenti, portasse il capitale a dieci milioni nel 1952, trasformando la società due anni dopo in S.p.A., costituendo nel ’56 un consiglio di amministrazione con se stesso, il Vanelli Enzo (della “Sime” e della “Crem Orobica”) del giro amici metanieri dell’onorevole Ripamonti, oltre a Renato Olmi (pure della “Sime”).
Anche il Manenti ha un debole dichiarato: far mutare periodicamente indirizzo alle società, quasi temesse – come gli capita stavolta con la nostra indagine d’andar scovato. In dieci anni, dal ’60 al ’70 infatti, la Igegas si è trasferita tre volte: in via B. Sassi in via Reina, in via Hayech.

“Gasmeter”
è una s.r.l. costituita nel ’65 con 900 mila lire e portata di schianto a 50 milioni un anno dopo. Amministratore unico, per le operazioni di ricerca mineraria, è Pietro Crotti, di Offanengo. Però ci assumiamo piena responsabilità asserendo che il Crotti è un uomo di paglia per coprire Bruno Manenti, e di qui il Ripamonti.
Consuete eleganze stilistiche che alleggeriscono la tensione burocratica delle ragioni sociali e dei loro sottintesi.

“Metanodotti Bresciani”
Altra s.r.l. all’atto della sua costituzione nel 1954 con amministratore unico Manenti Bruno. Trasformazione in società per azioni nel 1956 con capitale a 250 milioni. Esercita attività di sola distribuzione del gas metano. Seguono i traslochi dell’irrequieto titolare da via Garofalo a via Sismondi, poi in via Reina e in via Hayech. Lo seguono i soliti sindaci Luigi Olmi, Pietro Crotti (già incontrato nella Gasmeter…) e Grossi Osvaldo.
Le iniziative del Manenti sono quasi vertiginose. Lo si direbbe un fondatore nato. Non si dà tregua (o non gliene danno i superiori). Eccolo nuovamente all’opera con la:

“Metanodotti Prealpini”
Società nata nel ’56, a responsabilità limitata e appena 120 mila lire di capitale. Il Gestore unico, Manenti, parte sempre piuttosto in sordina. Poi magari arriva, in un paio d’anni, a centuplicare il ospitale, e più, portandolo a 150 milioni. Trasformando ovviamente una s.r.l. in S.p.A.
Lo esige lo scopo sociale che qui è allargato ad operazioni di ricerche minerarie, sfruttamento di idrocarburi, costruzione di impianti, distribuzione di gas liquidi. Manca il trasporto, ma a questo penseranno altri, magari la “Sommacar” (Alleanza Internazionale Trasporti) con sede in Via San Marco.
Quali saranno i sindaci della “Metanodotti”?
Non ci vuole soverchia fantasia: tre persone di assoluta fiducia, cioè Luigi Olmi, Paola Biondini e Pietro Crotti. Da buon outsider, nenti non cambia mai il tema che vince.

“Aersodigas” (o Sodigas)
Sorta nel ’54 – anni di feconda fortuna per il prode cremasco e una semplice s.r.l. con pochi soldi di capitale (centomila lire). N’ello stesso anno diventa per azionz ad opera del solito amministratore unico Bruno Manenti, il quale chiama a sè Giuseppe OliN icri e Bruno Bolla (un nome che rivediamo nella “Lumezzane” del Ripamonti; nella “Società Nazionale Gazometri”; nell’Estigas; nella “Tirrenia gas”; e come non bastasse, lo incontriamo tUttO solo amministratore unico della “Società Pubblici Esercizi”, piccola s.r.l. salita nel giro di un lustro da 100 mila lire a 10 milioni di capitale).
Attività dell’“Aersodigas”: servizio pubblico del gas di città con gasdotti a Biassono, Cerro Maggiore, Muggiò e Rescaldina. Così parte della Brianza è servita (vedremo in seguito chi copre il restante territorio) Capitale cento milioni. Non è poco. Nel collegio sindacale ancora Luigi Olmi, Musu Boy de Roberto e – toh, chi si rivede – il Maffei Giuseppe: carico di anni, di cariche, di fiducia del capo.

Il Bolla del gran giro

Abbiamo di sfuggita citato Bruno Bolla, del tandem Manenti-Ripamonti, Non sarà inutile chiosare dopo la “Lumezzane Gas” altri suoi rapporti nel contesto delle metanifere a largo raggio.

“Imigas”
Società per la ricerca mineraria del sottosuolo nazionale ed estero, lo sfruttamento di idrocarburi attraverso la costruzione di pozzi e condotti per il trasporto di essi. Curiosa (e stimolante) l’estensione territoriale della ragione sociale: non solo l’Italia, ma anche oltre confine (magari in concorrenza con l’ENI, senza dubbio). Rilevante anche il contenuto, dall’estrazione alla rivendita, con guadagni facilmente Immaginabili.
Chi è il capo della “Imigas”? Bruno Bolla, l’uomo di Soave (Verona): almeno così appare, mentre chi gli stia dietro non faticheremo granché a identificare. Il capitale viene raddoppiato dal 1960 (la Società per Azioni. Azioni di chi? e nata l’anno prima) al 1962 (da 25 a 50 milioni). Segno che gli affari vanno bene, non solo per Bruno Bolla.

“Tirrenia Gas”
Per la produzione e distribuzione di gas. Con dipendenze a
Santa Margherita e Rapallo, dove il clima sembra migliore che a Milano. Una vecchia società, del 1927, che nella sua vicenda più recente ci indica un capitale di 260 milioni nel ’61, di 300 milioni nel ’64 e di 585 milioni l’anno dopo. I consiglieri (tra molti altri anche l’Accetti Paride, socialdemocratico e consigliere comunale di Milano): Bruno Bolla, Presidente dal 1970.
Nel collegio sindacale Giuseppe Mascheroni (uomo del gas nei collegi), Lanni Diodato e Perlasca Giorgio. Non abbiamo elementi ne a favore né contro l’aderenza o meno di questa “Tirrenia Gas” rispetto al giro che andiamo spiluccando. Vorremmo semplicemente accertarci che non c’entra affatto. Tutto qui.

Società Nazionale Gazometri
Costruzione ed esercizio di impianti per la distribuzione del gas. Nel Consiglio attuale è consigliere delegato il Bolla Bruno; si notano Mascheroni Giuseppe (sindaco della “Tirrenia Gas”) e Maraya Sergio (già all’“Estigas”, ora estinta, con Bolla). Nel collegio dei sindaci, ancora Giorgio Perlasca con Luzzani e Morgese.
Anche di questa società sarebbe utile apprendere l’estraneità con quelle implicate nel settore Manenti-Ripamonti, visto che Bolla è socio di questi.

“Metanodotti Bergamaschi”
Società per azioni (un milione di capitale all’atto della costituzione, nel 1960), intesa ad operare ricerche minerarie nel sottosuolo nazionale ed estero (si vede che Bergamo ha ramificazioni economiche in mezzo mondo); nonché per attuare lo sfruttamento degli idrocarburi attraverso costruzioni di pozzi e condotti, il trasporto degli stessi (gas), nonché (ancora) la progettazione, costruzione di impianti e la distribuzione di gas liquidi, gassosi e compressi.
Non manca proprio niente. Se qualcosa difettava, era l’amministratore, e lo citiamo subito: un certo (ma non troppo) Luigi Floridi (che rivedremo), nato a Marengo. Però questi è sostituito nel ’63 da Bruno Bolla. Nel 1966 modifica della ragione sociale in Estigas Città s.p.a.; aumento di capitale in due riprese, da 150 milioni nel ’68 a 300 milioni. Presenti nel consiglio i due Sergio, Bolla e Maraya.

“Estigas”
Per la gestione di impianti del pubblico servizio del gas, operazioni di ricerche minerarie eccetera. Sorta nel ’63, un milione di capitale, amministratore Luigi Floridi. Nuovo amministratore nello stesso anno, Bruno Bolla. Nel ’64 il capitale ammonta a 500 milioni e il consiglio è formato dai due Bolla (Bruno e Sergio) e da Sergio Maraya. Entrano poi Armando Felisari, Cavallari Vittorio. Nel ’67 Cessa per trasferimento della sede a Roma.
Mistero, questo, che Manenti, amico di Ripamonti, e Vigevani (amico di Manenti), oltre al Bolla socio di tutti e tre, potranno chiarire.

“Gas Orobica”
Sorge come S.p.A. nel ’63 con 45 milioni di capitale per le solite operazioni di ricerca e sfruttamento. L’amministra Luigi Floridi (ma poi a chi la passerà?) che la trasferisce l’anno seguente da Crema a Milano, nel regno di Bolla, cioè in Piazzale Susa.

“Sovegas”
Sempre con la consueta ragione operativa, minimo capitale (appena cento mila lire), fondata nel ’58. Amministrata direttamente da Bruno Bolla, il quale porta il capitale nel ’59 a 15 milioni Nel consiglio spicca il Bolla Bruno con Mario (stavolta), più i Floridi Luigi (che riappare), amministratore unico nel ’64, con capitale aumentato a 45 e poi a 150 milioni.

Rientrando nell’orbita maggiore

Dopo il non inutile excursus nel reame di Bolla, riprendiamo l’arida—fin troppo elencazione dei dominions aggregati alla Corona dei Ripamonti e Manenti, su cui veglia l’ombra amica di Eugenio Cefis.
Una occasione (in parentesi) per chieder venia di un discorso tanto distaccato quanto scostante, quello che noi intervalliamo con le citazioni le cifre, i nominativi, le ragioni sociali.
La materia è questa e presenta una sua eloquenza, specie se si vuol seguire attentamente il gioco dei collegamenti in un edificante labirinto come quello che fa capo all’indefesso Presidente della Montedison.
Ecco ancora altri rimandi esemplificativi.

“Impianti Metano S.I.M.E.”
È nei confini territoriali di Manenti Bruno, nato in quel di Crema. Oggetto: ricerche minerarie e sfruttamento di idrocarburi. Capitale, 300 milioni, stavolta in taglio grande, cioè in azioni da 100 mila lire.
Nel consiglio di amministrazione, oltre ai decorativi Eliseo Restelli e Serafino Bonaventura, il Renato Olmi (anche della “Igegas” e parente stretto, si arguisce di Luigi Olmi); lo stesso Bruno Manenti in qualità di Vice Presidente, e quell’Ezio Vanelli (della “Igegas” e della “Crem Orobica” cara al Ministro delle ricerche, scientifica e metanifera).
Nel collegio sindacale: Luigi Olmi (personaggio fisso) e le unità mobili Ruggero Gallo e Velardi Filiberto. Seguiamo ancora il Manenti, per passare poi ad altri “tipi” interessanti della “Anonima Metano”. Ecco la:

“Metano Pandino”
Sorta nel ’54 con 160 mila lire di capitale. Una società a r.l., amministrata dal “Bruno” e con il consueto scopo sociale. Subisce una metamorfosi nel ’66, quando entra Augusto Cattarozzi (socio nella “Alfa Metano” ceduta poi ad Ernesto Arcelloni; giri di comodo molto meno misteriosi di quanto non si pensi), il quale porta il capitale a 14 milioni. Nel ’66 però vi approda Franco Vanelli ( per forza di cose congiunto del Vanelli Enzo della “Igegas”, della “Sime” e della “Crem Orobica”), ospitata dal Ripamonti in via San Marco. Nel ’67 appare Luciano Angiolini, un nome che per ora non ci dice niente.
Caratteristica della “Metano Pandino” è anche l’instabilità della sede: da via Calvi a via del Gesù, da via Mozart a via Tommaso Grossi, poi in via Paracelso, Piazzale Litta, fino a via Giulio Uberti. Sembra che la terra scotti sotto i piedi a della gente perseguitata da fantasmi di guardie e tributaria. O si tratta semplicemente di umore vagabondo, di hobby che non costa molto se davvero è utile far perdere le tracce (di che cosa? ).

“Metanodotti Milanesi”
Sorta nel 1952, con capitale di 60.000, la s.r.l. è amministrata da Bruno Manenti. Nel 1957 egli sente il bisogno di avere al suo fianco un tecnico di vaglia: l’Ernesto Vigevani – con segnalazione del “Camillo” della ambiricerca – è pronto. Tanto è vero che il capitale viene portato a 30 milioni e la s .r.l. si trasforma in S.p.A. Nel 58 un certo Livio Kaban, di Trieste viene cooptato nella società, puntello dei due signori sopracitati.

“Conteam”
Con cinquantamilalire all’atto della fondazione (1954), Gaetano Carcano – personaggio che può stare sul piano di Bruno Manenti – pretendeva di esercitare la consulenza tecnico amministrativa, la progettazione e tutto il resto nel campo dell’energia elettrica e deI gas. Errore di prospettiva, quantomeno.
Infatti il capitale passa a dieci milioni nel ’57. NeI ’66 il vecchio Carcano sente il carico degli anni (è nato nel 1898) e chiama nella società i congiunti (i figli, ci sembra) Enrico e Pietro, il primo del 39 e l’altro deI ’43. Tre anni dopo essi rinunciano all’incarico (o vengono cordialmente indotti a farlo), ed entra a tutti gli effetti nella “Conteam” (1970) il Manenti, amministratore unico. Un personaggio che finalmente lasciamo per dedicarci al Carcano.
Abbiamo già identificato Gaetano Carcano presentando Ia “Metanifera Alta Italia”, della quale risulta f
ondatore (certo su delega), con Salanti, Visconti e Maffei.
Nel settore metanifero ha impiegato ogni risorsa Esica, invecchiando – ha ormai 73 anni – nel mestiere; poi ha impegnato la famiglia perchè la moglie, Mela Maddalena, e i figli (crediamo) Enrico e Pietro gli danno una mano per far prosperare (entrandovi in qualita di amministratori) le aziende.
Carcano è certamente un boss, perché sarebbe ridicolo considerarlo un uomo di paglia. Un riscontro interessante può essere offerto da questa serie di metanifere, in una elencazione eloquente anche se forzatamente noiosa.

“Metanifera di Milano”
Costituita neI 1954 ad opera deI notaio (specializzato) Cellina. Una s.r.l. con appena 50 mila lire di capitale. In partenza, perché già nel ’63 questo aumenta a 35 milioni, seguendo naturalmente l’incremento degli affari.

“Metanifera Pontirolo Nuovo”
Avviata nello stesso anno, con identica formula societaria e uguale cifra di capitale, portato dopo tre anni a 10 milioni.

“Metallifera Canonica d’Adda”
Inizia come le altre nel medesimo anno, con scritturazione del dottor Cellina; sempre una società a responsabilità limitata e capitale di 50 mila lire, poi elevato ( 1956) a 10 milioni.

“Metanifera Dell’Oglio”
Questa volta il Carcano si sbilancia: infatti ricorre alla Società per Azioni. Anno di costituzione: 1954, capitale un milione.
Nel consiglio iniziale incontriamo certo Croce, e un professionista esponente democristiano a Milano, Silvio Riva Crugnola, più volte candidato eletto al Consiglio Provinciale, salvo l’ultima tornata quando dovette lasciare il passo ai giovani leoni.
Nel ’61 entra la signora Carcano, Mela Maddalena. Nel ’62, chissà per quale intervento, la società viene posta in liquidazione e il Milani Claudio provvede. Subito dopo viene revocata la Cessazione, il Carcano si ritrova amministratore unico. Nel ’66 entrano Pietro Carcano (di ventitre anni) ed Enrico Carcano (di ventisette). Fa poi la comparsa (1969) Alchieri Benedetto. Un anno dopo la ditta Cessa, passando comunque a Crema.

“Metanifera Gessatese”
Costituita nel ’53 per la solita attività connessa alle vendite e commercio dell’idrocarburo di Stato (con passaggio interinale ma giustificato in mani private, mosse dall’anonima metano).
Gaetano Carcano in questa s.r.l. non è solo; gli tiene compagnia quel Mario Pirola, già della “Metanifera Ambrosiana” in cui c’erano Ripamonti e Vigevani prima di passarla a Silvio Sardi e Maria Malegori. Un incrociarsi di nomi che rivela abbastanza la curiosa trama di queste derivazioni da unica matrice.
Nello stesso anno 1953 il Pirola esce sostituito dalla moglie del Carcano; la quale nel ’57 facilita l’ingresso a Benvenuto Mela (parente della signora Carcano, si direbbe) e ottiene nel ’63 un ruolo anche per l’Enrico Carcano.
Le concessioni di metano ai Carcano si ripetono. Evidentemente c’è di mezzo la buona condotta, l’esemplare esecutività dell’incarico, Ia fedeltà alle ragioni sociali più genuine, oltre agli utili (che non mancano affatto), versati almeno in parte alla cassa comune della anonima per ripartizioni successive.

“Cometa s.r.l.”
Stavolta cambia anche l’oggetto, mentre la denominazione denota maggior fantasia: si tratta di esercitare impianti di distribuzione deI metano. Con sede in Gorla Minore, la società sorge nel ’60, ma pur trovandosi in provincia di Varese, esiste una dipendenza in Milano. L’amministrano, con la consueta maestria, i vecchi coniugi Carcano, con un certo Spartaco Saita, anch’egli abbastanza avanti negli anni come i suoi due soci.

“Empa Gas”
A responsabilità limitata, costituita nel corso del 1969 con cinquantamila lire di capitale per le solite ragioni deI metano una volta emerso in superficie (benché oggi, esaurite le scorte minerarie italiane, il Cefis immetta nella rete di distribuzione metano di estrazione libica, sovietica e olandese: nell’interesse del consumatore, che trova prodotti di buona qualità e di prezzo competitivo, ma anche con evidenti vantaggi per gli amici suoi che lo lavorano).
Qui troviamo il giovane Pietro Carcano, ormai in grado di sostituire appieno il padre Gaetano. Nuova variazione (ed unica, sinora) nel 70 quando diventa amministratore unico Giulio Arcelloni, fratello (se non andiamo errati) dell’Ernesto Arcelloni della Alfa Metano.

“Alfa Metano”
Costituita nel marzo 1967, con la formula della responsabilità limitata e con un capitale simbolico di lire sessantamila, ad opera di Cattarozzi Augusto, di Isola del Piano (ex socio della “Metano Pandino” del Gruppo Manenti-Vigevani).
Nel 1969 viene scalzato, in qualità di amministratore unico – i cambi della guardia sono all’ordine del giorno nell’“Anonima Metano” – , dall’Arcelloni Ernesto, fratello del Giulio dell’“Empa-Gas”, e del Carlo, della “FIN S.p.A.”, tutti di Ziano Piacentino. La sede, da via Giulio Oberti si sposta in via Fabio Filzi e il capitale sale alla ragguardevole cifra di 49 milioni (perché non arrotondare a cinquanta giacché c’erano?).

“Metanifera Alta Brianza”
Provvede a costituirla nel 1960 il notaio Cellina, affidandola al Gaetano Carcano. Sempre padre esemplare, questi dà la procura sei anni appresso all’altro figlio Enrico (compensando le attese dei due fratelli).
La società a responsabilità limitata in fatto di gas liquidi e gassosi non dev’essere cosa da poco, anche sul piano di copertura territoriale, tanto da richiamare la casa madre, quella “Metanifera Alta Italia” di cui abbiamo parlato a suo tempo.
Il capitale segue un balzo notevole, perché dalla base cinquantamilalire iniziale è portato nel 1969 a ben 120 milioni. Queste manovre rispettano la serietà dell’operativa del gruppo, ma evidenziano anche la disponibilità in ogni senso su cui possono contare. Il che denuncia, in via presuntiva, l’enorme giro d’affari della anonima, a suon di miliardi.


L’ansia del bene comune

Anche per interrompere la monotonia di questi dati, vogliamo qui inserire una parentesi di colore (locale) sullo stile-Carcano.
In quella casa son di rigore gli affari e le opere di bene. Del resto il Gran Maestro, Eugenio Cefis, accanto alle Presidenze Industriali, agli hobby immobiliari, alle anonime del metano, ha voluto benevolmente accogliere la presidenza di Opere Pie, impegno di grande respiro, capace di assicurargli in vita la gratitudine del braccio religioso, e qualche merito non indifferente su un altro piano.
Perciò Gaetano Carcano fonda nel 1955 l’“Istituto per l’Edilizia Familiare”, chiamandovi nel ’56 Osvaldo Ballabio e sostituendolo undici anni dopo con Magenes Luigi. Il capitale nel frattempo sale da 15 a 70 milioni.
Cosa fa codesto Istituto, tanto rispettabile e provvidenziale su scala sociale? Grosso modo quel che fa “La Colonnetta” (del rag Claudio Milani, colui che si era incaricato di liquidare, prima del ripensamento, la “Metanifera Dell’Oglio”): facilitare ai capifamiglia ed ai giovani in procinto di formarsi un focolare l’accesso alla proprietà dell’abitazione.
Forse perché a quell’epoca aveva ventun’anni ed il problema di accasarsi si andava ponendo anche per lei, la figlia del Carcano, Maria, fu indotta nel ’63 a fondare pure lei qualcosa di simile: nacque così “La Vita”, una s.r.l. con 18 milioni di capitale e destinata a intervenire in situazioni consimili alla “Colo
nnetta” e all’Istituto del padre.
Due anni dopo troviamo però la Maria Carcano accomandante della “Imme”, una s.a.s. con 5 milioni di capitale, di cui è accomandatario un certo Giulio Ponticelli. La “Imme” provvede alla manutenzione di fabbricati, magari anche di quelli costruiti per gli sposi giovani dai tre Istituti sopra citati.
Potrebbe sembrare pura malignità. Anche i Carcano devono amministrare al meglio i milioni che guadagnano; e il dedicarsi ad opere di interesse sociale, come fa del resto Cefis, riveste una finalità mediata che va oltre lo scopo immediato. Una presenza in seno al mondo della beneficenza garantisce simpatie e riconoscimenti, assolutamente provvidenziali quando si rimane chiusi in tanti e così svariati affari.
Lasciando la famiglia Carcano, inoltriamoci adesso nelle attività metanifere del gruppo Sardi, un personaggio che spazia con agilità dai gas alle immobiliari, come vedremo più ampiamente proseguendo il nostro discorso induttivo.
Lo inquadreremo intanto nella cornice delle imprese che fanno capo al prezioso idrocarburo, insieme ai suoi amici.

“CO.GI.M”
Costituita nel 1960, con l’intento di realizzare esercizi di impianti metano, in tutte le successive fasi di Iavorazione e sviluppo. Amministratore unico è Silvio Sardi di Cernusco sul Naviglio, la formula è la Società per Azioni. Nel 1967 entrano il romano Salvatore Piredda e la signora Malegori Maria, di Villasanta di Monza.
Nel ’68 altre nomine: Meda Filippo (nipote del grande del Partito popolare e figlio di Luigi “Gigi” per gli amici inferiore politicamente ma capace di stabilire con Mattei e con Cefis proficue relazioni di affari, tramandati poi al figlio Filippo), oltre a Wahan Pasargikllan.
La procura nel medesimo anno va al Vaccari Antonio (della “Metanifera Alta Italia”, la capogruppo di Salanti, e della “Metanifera Martesana”) e Vittorio Barracchia (già della “Alta Italia”). Nel ’70 abbiamo un consiglio formato dal Pasargiklian, dal Meda e dal Vaccari, con il primo dei tre in qualità di Presidente.
La staff attraverso la quale Sardi agisce in questa società è quella indicata. Non è inutile aggiungere che, salvo il Sardi, gli altri sono figure di secondo piano, decorative presenze nel quadro assai più complesso dell’“Anonima”.

“SIME – Guardamiglio”
Società di metano costituita dal Vigevani Ernesto, destinata a passare nel ’59 al terzetto Silvio Sardi, Rosalia Corazzi (moglie del Silvio) e la sorella della Maria Malegori (già citata), Alessandra Giuseppina.
Pensare che questo schieramento di operatori nel settore degli idrocarburi sia autonomo da altri gruppi, sarebbe ingenuo, tanto ricorrono identici nomi nella SIME come nella “Metanifera Alta Italia”.
Il Vigevani, del blocco Ripamonti, cede Ie redini al Sardi e nel 1967 si nota l’ingresso di Salvatore Piredda, l’anno dopo Filippo Meda junior e l’uomo di ascendenza armena, anche se nato a Milano nel 1920, Wahan Pasargiklian. Nel ’69 la procura finisce ai fidati Barracchia e Vaccari e l’anno sucCefisivo il consiglio risulta composto dagli stessi nomi della “CO.GI.M”.

“Samem”
Società (per azioni) “Mantovana Erogazione Gas Metano”, con sede a Cernusco, inizialmente (1960), capitale di ben 25 milioni. Amministratore unico è Silvio Sardi; (en passant) Funari Alessandro, poi (anche lui fuggevole) Oreste Meneghini, mentre il capitale arriva a 75 milioni.
Nel ’67 monotonia di rientri approdano Piredda Salvatore e Malegori Maria; ancora nel ’68 il Meda e il Pasargiklian. Specializzato in codeste procure l’uomo di Barletta che nel ’69 ottiene la procura (Vittorio Barracchia), insieme all’Antonio Vaccari Attualmente la sede dovrebbe situarsi a Biella, anche se la societa è mantovana per origini e denominazione.

Spazio e respiro di garanzie

Come abbiamo fatto con Bruno Manenti ( società “Ladir”, in compartecipazione con l’omonima di Vaduz) possiamo rivelare a questo punto che anche il Silvio Sardi ha sentito il bisogno di assicurarsi una finanziaria di copertura, per muoversi in settori svariati ed ottenere larga superEcie di garanzia.
Infatti nel ’62 egli costituisce a Cernusco con appena cinque milioni Ia “Sarfin” Sardi Finanziaria per la partecipazione industriale e cormmerciale, le operazioni mobiliari e finanziarie. Tutti i nostri possiedono rifugi del genere: Cefis, Viglio, Salanti, Padoin, Manenti. Perché dovrebbe essere da meno il Sardi?
Nel ’63 il capitale sale a 30 milioni ed entra il turco (con una buona testa) Prosiado Exkinari, ora ottantenne, con Garizio Alfonso (di Biella: dove è affluita, come sappiamo, la Samem). Nel 1966 vengono alla ribalta il fedele Salvatore Piredda ed Ettore Starace, già procuratore della “Metanifera Martesana”. L’anno appresso escono l’Exkinari e il Garizio, rinuncia pure il Filippo Meda (junior, e come), che aveva trovato modo di accedervi, mentre si fa avanti Alessandro Visentini, di Motta di Livenza (Tv), anche questi interessato per un certo tempo alla “Metanifera Ambrosiana”.
Passione comune agli esponenti della “Anonima”, queste finanziarie. Non siamo abbastanza addentro ai congegni di tali formule d’attività economica, ma possiamo ugualmente dedurre che esse non rappresentano un semplice passatempo per gli operatori che vi fanno ricorso. Sardi lo lascerà intravedere, quando in fase di riepilogo ragionato avremo modo di ricaderci.
Tornando ora alle sue metanifere, ne abbiamo una di riserva:

Azienda Officina Gas – Acquedotti di Albenga
che denota una espansione territoriale abbastanza recente ma produttiva. Tale società è datata al ’67 quando due fiduciari del Sardi – Salvatore Piredda e Malegori Maria – la costituiscono per azioni con capitale di 6.650.000, con dei rotti apprezzabili. Nel t69 i due amministratori vengono sostituiti da un consiglio, con i soliti Piredda, Pasargiklian e Filippo Meda.

Tutti li illumina il sole

In questa faticosa escursione alla ricerca dei satelliti non abbiamo mai perso di vista il centro, cioè Eugenio Cefis. Tutti, più o meno, rientrano nella sua orbita, come il metano in Italia naturalmente e usbergo e vanto di chi all’ENI ne ha praticamente il monopolio. La sfibrante enunciazione di dati, circostanze, personaggi si approssima alla conclusione, come vedremo nel prossimo e ultimo (per ora) servizio delle serie.
Anche se i filamenti si rivelano sovente impercettibili e ardue possono sembrare le deduzioni, è un fatto che il club del metano agisce su piani che s’intersecano gradevolmente con armoniose prospettive e perfetto accordo di toni e indirizzi.
Dal che deriva una tranquilla gestione e un ricavo complessivo da far girare la testa. All’ombra delle funzioni di Stato, in Italia, i miliardi facili si fanno in fretta.

Questo è Cefis (pp. 239-257) – continua

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Questo è Cefis 18

12 giugno 2009
“L’Anonima Metano” – Gli allegri squadroni
di Giorgio Steimetz

Quando si asserisce che componendo i dissidi, le diaspore, le avversità all’interno del partito dei cattolici si avvierebbe anche quel processo di chiarificazione politica e di comprensione fra i partiti dell attuale maggioranza di governo dando così un significato e una rivalutazione concreti allo stesso concetto di democrazia, piuttosto scaduto sia agli occhi dell’opinione pubblica che ad un esame oggettivo , non ci si dà conto evidentemente di tanti intrighi e condizionamenti, ai quali va fatta risalire la responsabilità nelle incrinature e nei dissapori intestini al partito di maggioranza relativa.
Non ci si dà conto nemmeno di chiedere fin troppo. Come quando si invoca ad esempio la soluzione pacifica dei (veri o presunti) stati di polemica interna nella Chiesa cattolica, tra tradizionalisti e riformisti, per seguire la nomenclatura pittoresca in vigore; unione che Si auspica in nome del Suo stesso fondatore. Esigenze spericolate, quasi: come reclamare, ancora, un patto di tolleranza fra i due sistemi in cui oggi, di fatto, il mondo è diviso il comunismo e la democrazia liberale, o se si preferisce il materialismo e l’umanesimo , sia pure in nome della pace o della sopravvivenza della specie.
Non è che l’auspicio all’unità (nei cattolici, nei democratici, nel consesso di popoli) sia erroneo o appena strumentale. Non è chi non veda, per esempio, come la contrattazione all’interno della nostra compagine di governo e, all’esterno, una coerente, robusta, leale opposizione ad ogni forma totalitaria, sarebbero un toccasana e costituirebbero un rilancio sicuro per questa precaria e traballante democrazia italiana. Allo stesso modo il superamento delle contrapposizioni fra Stati e fra correnti nella Chiesa.
Ma occorre realismo e minor superficialità nel giudicare all’interno di un partito o nel seno delle varie comunità internazionali – il travaglio, l’antagonismo, le polemiche. Non basta chiedere un taglio netto con i frazionamenti: bisogna rimuovere le cause che lihanno generati, tagliare le fonti di finanziamento ad ogni livello di sospetto. Non basta reclamare la fine dei personalismi e delle clientele: occorre guardare anche a monte e indagare sulle origini e le coperture.

I punti franchi da doppiare

L’on. Andreotti, l’inarrivabile enfant terrible dello scudo crociato, uno dei personaggi più in vista dell’intera assemblea di Montecitorio, e tanto convinto che mancando la benzina le grandi macchine personali e organizzative delle correnti democristiane sarebbero costrette a segnare il passo, fors’ anche a sciogliersi, che è arrivato.l proporre un sistema di finanziamento pubblico ai partiti, in piena luce del sole.
Don Sturzo, che vedeva lontano più del suo (rispettabile) naso, era arrivato alla stessa conclusione qualche decennio prima, esattamente quando s’accorse che proprio l’Ente Idrocarburi, con Mattei condizionava di fatto uomini della democrazia cristiana attraverso altri uomini dc, raccolti in una corrente dall’ENI cospiquamente foraggiata.
Storia di ieri. Da non dimenticare tuttavia perché nel frattempo i finanziamenti ENI si son resi più fluidi ma più consistenti, irrorandosi ad altre correnti democristiane (e non), valicando l’argine per sfociare presso altre segreterie e correnti, di governo o all’opposizione Non solo. Il metodo Mattei ha fatto scuola (o ha rispolverato antiche, abusate norme didattiche).
In parecchi enti pubblici, retti da democristiani, da socialisti (delle due tendenze), da repubblicani per restare nel centrosinistra – ci si finanzia allo stesso modo, ossia (per non usare pietosi quanto stupidi eufemismi) rubando dai bilanci o traendo vantaggiosi interessi da gestioni extra-bilancio degli enti stessi.
Il cannibalismo interno scudocrociato è favorito dalla corsa (per arrivare primi) a certi grossi centri di potere, a certe poltrone ministeriali che assicurano a correnti e uomini la sussistenza, la taglia, gli utili. Per mantenere in vita gli apparati, i giornali, per pagare gli addetti, per lanciare campagne, per sostenere ingenti spese elettorali degli aderenti, e necessario attingere a questa partita di giro, senza riscontro e senza reversale.
Diamoci conto di questa realtà prima di auspicare l’unità, Ia smobilitazione delle correnti. Diversamente, passeremmo per ingenui e basta.
Malcostume, forse consueto, forse congeniale. Ma non crediamo che la proposta Andreotti, se accolta, riuscirà a risolvere l’odioso aspetto di questo parassitismo di uomini e strutture.
Ci vorrebbe, ad esempio, che ogni nomina dello Stato presso Enti Pubblici fosse ispirata da ragioni tecniche anziché politiche, analogamente al criterio uniforme adottato dalle imprese e aziende private. Si dovrebbero rimuovere quindi tutti quei falsi tecnici che hanno ottenuto la nomina per meriti squisitamente di partito.
Per vincere il male alle radici e per garantire un margine di attendibilità a certe riforme (come quella appunto auspicata), occorre risalire a questi punti franchi, rimuovendoli in blocco e sostituendovi una vera e propria epurazione, dando il posto ai migliori nel senso professionale del termine.

La politica dell’“impera et divide”

Non è una terapia da medicastri. Come nei nostri bilanci esistono spese prevedibili e spese impossibili; come ci vediamo noi costretti a tenere in garage l’automobile se c’è lo sciopero dei benzinai o ci mancano i soldi per il pieno, così dovrebbe risultare possibile tagliare alla radice quel sistema diffuso che consiste neI vivere alle spalle dello Stato adoprando i soldi dello Stato stesso, in tutte le forme immaginabili.
Dicevamo dell’odioso ma produttivo criterio adottato da Mattei per ingraziarsi, condizionare e quasi paralizzare l’autorità democristiana (perché di fatto un gradimento ad ogni operazione interna o internazionale era di sua spettanza).
Mattei andò più oltre, incuneando una spina nel fianco del partito DC, cioè quel gruppo di parlamentari di Base, che usava la fronda e riferì il verbo del Capo: si chiamasse esclusiva di ricerca petrolifera o alleanza con i socialisti o avallo allo sperpero di denaro nei bilanci ENI, come i passivi ad esempio de “Il Giorno”. Il suo successore, Eugenio Cefis, ha fatto di meglio. Ha finanziato ogni altro settore democristiano: non ostenti distaccato stupore il Piccoli, doroteo (non ne ha tessuto infatti l’elogio, mandandolo anche alla Montedison?) e non finga di aversene a male Mister X il quale non avrebbe fermato l’interrogazione Simonacci su certe rivelazioni ENI-Cefis, qualora fosse risultata infondata o inoffensiva la conseguente accusa.
Il Cefis ha adottato per gli altri partiti una politica non difforme. Quello che non era riuscito a Mattei avere dalla sua parte la maggioranza delle azioni democristiane e il controllo più o meno larvato di pressoché tutti gli altri schieramenti politici e riuscito al suo successore. Il quale pur non godendo della stima dell’ex Presidente dell’ENI, alla sua morte o poco dopo è salito proprio su quella poltrona e ha mostrato una plateale affinità di metodi col predecessore, almeno in questo campo.
A parte la questione sul gusto e la misura tra i due massimi esponenti dell’apparato petrolifero italiano, la loro abilità consisteva non già nel dividere gli avversari per dominarli, ma in una versione tete-beche dell’assioma: dominare, per poi (eventualmente) dividere (nel senso di spartire).
Si dice che l’ex signora Mattei goda di una rendita di cinquanta milioni l’anno, dopo le spartizioni e le querelles con i fratelli deldefunto. Mancando domani Cefis, a quanto ammonterebbero le rendite ai superstiti? Probabilmente i cinquanta milioni diventerebbero (inflazione a parte) cinquecento, o di più ancora.
Personalmente ci siamo cimentati in una disamina degli interessi privati dell’attuale Presidente della Montedison; altri potrebbero meglio di noi arrivare ad un edificante e ineccepibile inventario.
Il metodo così applicato un tempo sarebbe parso temerario e le voci che lo segnalavano sarebbero suonate fioche e stonate. Oggi no. Quasi quasi tale sistema di autofinanziamento a catena di Sant’Antonio diventa legalizzato, quantomeno tollerato come rispondente ad un mass-media. I beneficiati non disdegnano di apparire in societa per azioni come membri del consiglio di amministrazione, sicchè la carica e risaputa e il servizio di dipendenza reso noto.

L’ombra del super-presidente

Povero Sturzo che dall’allora libero e intemerato Giornale d’Italia tuonava contro codeste corruzioni del potere politico ed economico. Cosa farebbe oggi: meglio, dove troverebbe ospitalità per elevare le sue accuse?
Chi gli darebbe retta, visto che negli ultimi tempi passava per matto, avendo la temerarietà di chiedere severi controlli perché non scivolassero i milioni del contribuente dai bilanci di enti di Stato, guidati da insigni e stimati lestofanti con tanto di cavalierato del lavoro?
Ma riprendiamo la nostra analisi sul tema, così ampio, delle attività paraprofessionali, immobiliari o meno, del capitano d’industria Eugenio Cefis.
Si inseriscono, tali attività, nel calderone ENI: perché pare che attualmente il Presidente sia ancora lui. Un Presidente saper, se vogliamo, ombra paterna di Girotti.
Cercheremo di attenerci, quasi invitati dal lettore – che nel nostro caso e una sorta di giurato in aula di tribunale , ai fatti. Ne abbiamo parecchi da delineare. Non tutti, forse, ma abbastanza per far intendere che non è pura malignità o diffamazione gratuita la nostra.
Altri, prima di noi, hanno segnalato che alcuni familiari del ministro (fanfaniano) Lorenzo Natali sono titolari di concessioni Agip (Agipgas o Snam, è un po’ la stessa cosa) in Abruzzo, essendo l’on. Natali figlio di quella terra; concessionario per le Puglie è l’on. Vincenzo (Vincenzino, quando era un modesto dipendente del cane a sei zampe) Russo; interessato agli stessi prodotti per la Liguria è il senatore Giorgio Bo, ex ministro, per lungo tempo, delle Partecipazioni Statali; incarico che lo ha portato, appunto, dalle statali, alle personali.
Voci che riportiamo senza aver affatto la pretesa di avvalorarne o meno la veridicità, per titolo di semplice (e istruttiva) cronaca, ma che meriterebbero di andare severamente sondate (non con le trivelle della “Nuova Pignone” o altre celebratissime armi d’indagine tipo commissioni parlamentari di inchiesta, capaci solo di riempire cartelle d’archivio e di favorire gradevoli trasferte ai membri, invitati a conoscere ma non a raccontare). Sondate, si diceva, dagli organi competenti. Ai quali sembra di cattivo gusto continuar ad augurare felice riposo, ma tanto non cambia il ritmo.

Riepilogo sommario ma edificante

Per nostro conto, preferiamo una carrellata, discretamente ampia, di immagini, guardando ai personaggi e radiografando con buonavolontà le connessioni tra questi e l’“Anonima Petroli >> o “l’Anonima Metano”: la mafia politica, senza eccezioni in quanto mafia, s’è pur aggregata ad uno di questi due carrozzoni.
Nei servizi sin qui pubblicati abbiamo avuto l’occasione di sgrossare le società e gli uomini in due distinte ramificazioni: quelli che trattavano gli affari (più o meno leciti, più o meno loschi) per conto di Cefis, e quelli che si muovevano, per loro conto, nella perimetrazione-Cefis.
La distinzione non è ripetibile se non in parte: è astruso pretendere d’attribuire con certezza a Caio quel che potrebbe essere di Tizio, o viceversa, intendendo per Tizio il protagonista del nostro racconto edificante.
L’inevitabile confusione un po’ deriva dalla natura stessa delle attività finanziarie, un po’ all’impulso mimetizzante favorito dal direttore d’orchestra, un po’ dal consueto sottofondo italico di certe faccende.
Comunque le implicazioni restano. Con società-fantasma o di comodo; con paraventi rispettabili o teste di turco che assomigliano da vicino al Capo (strana fisionomia, da mandriano l’avevamo definita, per un cognome che nell’etimologia non laboriosa richiama proprio l’accezione greca khefal).
Dunque è naturale che egli si spinga verso le frontiere più varie, alla ricerca di popolarità diretta e immediata, cioè per reper
ire membri di collegi sindacali e di consigli d’amministrazione anche tra i personaggi minori, senza badare se siano Ministri o poveri agricoltori (si fa per dire).
Nei servizi precedenti abbiamo ancora tracciato la fisionomia essenziale di molti tra i più accessibili personaggi del cast, passando infine in rassegna le società nelle quali risultavano o si supponevano (con esauriente approssimazione) implicati
Parlando delle due anonime metano e petrolio non potremo conservare la distinzione in oggetti e strumenti. Ci limiteremo per tanto e citare i fatti, come escono dal voluminoso dossier, collezionato con snervanti ricerche, documenti, fotocopie, appunti, estratti e fogli in quantità. Il lavoro, durato molti mesi, non si può dire tuttavia esaurito e si potrà arricchire di appetitosi supplementi appena collocate al loro posto altre tessere-guida.
Se dovessimo comprendere in questa rassegna anche le voci, non raccolte da altri ma emerse proprio nel corso della nostra inchiesta giornalistica (non ci riguarda affatto l’eventuale pubblico o privato dominio di dette voci), potremmo, in aggiunta all’on.le Natali e al sen. Bo, citare ad esempio un Verzotto Graziano e un Mattei Italo, fratello del defunto Presidente.

Intermezzo di accidentali “rumori”

Potremmo allora vedere il primo, oscuro dipendente dell’ENI e fornito di un buon passato partigiano, divenire concessionario Agipgas a Siracusa, segretario nazionale, provinciale e regionale della DC in Sicilia, terra che ha tanto interessato l’ENI per concessioni, esecuzione di impianti, esclusive.
Si sa quanto il potere politico democristiano possa a tale proposito risultare proficuo; infatti dopo aver reso tanti servigi, il Graziano Verzotto te lo troviamo oggi presidente di una società con mezzo miliardo di capitale (la “Sarp” Azionaria Raffineria di Palermo per la lavorazione di oli minerali), società che non sapremmo bene a chi attribuire se all’ENI solo, o agli Idrocarburi e associati, o ad altre consorterie di partiti e della regione siciliana. La vita parallela di Verzotto – nella DC e all’ENI – se non è coperta di tenebrose implicazioni, è abbastanza esemplare per meritare un cenno, appunto, incidentale.
Quanto all’Italo Mattei, battezzato da qualcuno piagnone pubblico dopo la scomparsa del fratello Presidente, irrequieto in politica al punto che se la DC non gli offre un posto in lista se ne passa tranquillamente ad altro partito, sempre nel centro-sinistra, tanto per conservare vantaggi che all’opposizione non avrebbe, è conosciuto come coautore d’un memoriale che suggerisce tante ipotesi sulla fine del Mattei n. 1, delle quali (ipotesi) nemmeno una appare credibile.
Litigioso (con la vedova, signora Margherita, dell’ex Presidente, con gli stessi fratelli suoi) per spartire la non indifferente eredità dell’Enrico, è concessionario Agip sulle piazze dell’Italia Centrale, e per diversi prodotti. Non ha certo titoli per lagnarsi dell’ENI, al quale deve, in una con gli anni felici della stagione Mattei, anche buoni guadagni.
Voci, ripetiamo, che facciamo rimbalzare tanto per alleggerire la tensione di questa storia, nella quale abbiamo accolto soltanto risultanze, rifiutando tutti i pettegolezzi e le chiacchiere di circostanza.

La potenza finanziaria del metano

Il sottosuolo italiano, come tutti ormai convengono, non è ricco né di metano né di petrolio. Il primo, anzi, dopo gli eccezionali ritrovamenti di questo dopoguerra, ha rivelato di non essere né sufficiente né inesauribile.
Comunque sia l’uno che l’altro arrivano in Italia e come ogni altro Paese non dotato di falde petrolifere o di sorgenti ricchissime di gas naturali, lo importiamo dall’estero per la maggior parte: dall’Iran e dall’America l’oro nero, dall’Urss e dall’Olanda quello rarefatto. Per quanto poveri di codesti minerali, abbiamo in Italia una grande azienda che in larga misura provvede a tutto: a mettere il metano in condutture, a distribuirlo, a venderlo (e, naturalmente, a cercarlo). Allo stesso modo l’ENI – questa enorme impresa del leggendario supercarburante italiano – fabbrica trivelle, trasporta petrolio, lo ricerca, lo smercia, lo lavora.
Esiste tutta una serie di imprese sussidiarie, le quali potrebbero— se andiamo avanti così—fornire quasi interamente un supermercato, tanto vasto è il raggio di produzione e commercio di prodotti. Il fatto di malcostume alligna da tempo all’ombra del gigante metanpetrolifero di Stato. Noi le chiameremo appunto con il termine allusivo di Anonima.
Le insospettabili squadre mafiose che costituiscono società, realizzano centinaia e centinaia di milioni di utili; in parte se li spartiscono (anzi in certe situazioni vale unicamente la suddivisione fra compari); in parte li cedono come tangenti, o al grande Capo o al partito o a delle correnti (e segreterie): come farebbe il federale di Milano, senatore Giovanni Marcora, a compensare i voti preferenziali dati a determinati uomini (nella corrente di Base) nella lista? Così si spiega l’autoritarismo e la proliferazione delle correnti. Occorreva trovare un punto su cui reggere la terra: il nostro l’ha individuato in queste regalie che lasciano tutti soddisfatti del bene (reciproco) compiuto o da compiersi in prospettiva. Non mangiate le margherite, e le margherite (de stercore Herrici) non mangeranno voi: anzi, vi lasceranno in tripudio e operosa digestione continuare per la vostra strada.
Quali e quante sono le società ad intrallazzo misto s.a.i.m. se ci è consentito dall’allegra vicenda coniare una ragione sociale, tutta ispirata dal settore metano-petrolifero del cavaliere del lavoro Eugenio Cefis, dei suoi amici, oppure amministrate fiduciariamente per longa manus del partito?
Passiamole un poco in rassegna, senza pretendere che l’inventario sia esaurito. Noteremo almeno che la potenza di queste sorgenti di energia (e di danaro) è notevolissima anche quando è adatta a riscaldare le vivande sui piatti degli uomini politici.

“Metanifera Alta Italia”
È la capogruppo; la prima forse anche in ordine cronologico di costituzione; quella che dà allalavorazione del metano per conto dell’onorevole associazione il significato più estensivo, il quale vadalle operazioni di ricerche minerarie, allo sfruttainento di idrocarburi alla costruzione diimpianti, alla distribuzione di gas liquidi e gassosi, alla compravendita, ai trasporti, al commerciodegli apparecchi.
È la società, ancora, che raccoglie o che ha visto nel suo seno fiorire e passare) gli uomini piùfidati e rappresentativi del ras. Costituita neI giugno 1952 dal notaio dott. Cellina (l’altro notaio, dott.Neri, si occupa appena delle immobiliari), ad opera di Umberto Salanti coinquilino fino a qualchetempo fa di Cefis in Via Dandolo, consigliere della Banca Manusardi, della “Formenti”, della Rimoldi ; consigliere in numerose società, eminenza grigia di Cefis);.Maffei Giuseppe (parentedell’Alberto, interessato alla “System Italia” di Adolfo Cefis? e dell’Antenore della “MetaniferaMartesana”?); Visconti di Sanvito nob. avv. Alberto (socio del Salanti in affari e società, titolare diimmobiliari); ing. Domenico Fabiani forse l’unico competente); Gaetano Carcano (interessante tipomisto che avrà l’incarico di curare decine di società del metano).
Nel 1954 entrano Giovanni Besana, altro amico del Salanti col quale era interessato alla “Dell’Orto”; Naselli Orlando e quell’Ernesto Vigevani, un geometra del quale ci occuperemodiffusamente in seguito, inserendolo accanto al ministro in carica, Sen. Camillo Ripamonti. Nel ’58entrano Umberto Garbagnati della “Fingraf” e Rimoldi, Silvio Sardi, l’uomo di Cernusco sulNaviglio, anche lui fertile come il Carcano di numerose e attive ge
nerazioni d’azione metanifera,aggiungendovi un cospicuo e quasi inusitato pacchetto di immobiliari. Tra il ’65 e il ’67 il Sardi Silvio,nominato amministratore unico, fa entrare i due Salvatore – Calise e Piredda e la Maria Malegori, i quali costituiscono, come vedremo in dettaglio, il trio di fiducia del Sardi stesso.
Nel ’68 si affacciano Wahan Pasargiklian e Meda Filippo (figlio del Luigi e nipote dell’omonimo Filippo: il grande, perché ebbe interesse solo verso la politica tout court, anziché per la politica infunzione dell’economia come il figlio, o dell’economia senza la politica, come il nipote). Troviamo inoltre un certo Mario Gentile mentre la procura va a Barracchia Vittorio e Antonio Vaccari, i cui nomi troveremo più avanti e più volte.
Nel collegio sindacale non emergono figure interessanti, in quanto gente sempre rispettabile come Edoardo Astolfi, Pietro Bignami e Pietro De Rocchi non pesano né contro né a favore di (eventuali) centri di potere a disponibilità illimitata.
Di chi è dunque la “Metanifera Alta Italia”? Di Meda e Pasargiklian no. Di Gentile, Vaccari, Barracchia, Malegori, Calise e Piredda neppure. Essi sono soltanto uomini di fiduciaria rappresentanza, ottimi garanti se si vuole ed integerrimi personaggi. Forse l’azienda è passata dal Salanti (delegato di terzi) al Silvio Sardi. Costui per quanto potente e miliardario non dovrebbe essere il padrone assoluto: forse subisce delle taglie, forse gli controllano i bilanci per cavarne delle tangenti. Quello che si può affermare con una certa tranquillità è che la “Metanifera Alta Italia” appare stranamente inquinata di interessi privati e politici.
Nel clan dell’attuale consiglio di amministrazione e tra i nomi che vi son passati risalta la “anonima metano” al gran completo. Ne manca qualcuno ma lo ritroveremo addossato ad altre metanifere, come si vedrà più avanti. Dietro i nomi si agitano discretamente le ombre, che hanno tuttavia già da qui una denominazione anagrafica completa, un simbolo, uno scudo dietro il quale sentirsi al coperto e prosperare in un magnifico silenzio.

“Metanifera Ambrosiana”
Geograficamente non potevamo non trasferirci a questa società, per quanto essa non risulti una affiliata alla “Metanifera Alta Italia”. Diciamo che vi è collegata, che rientra nel cartello generato dalla casa madre.
Costituita come società a responsabilità limitata nell’agosto 1953 con il consueto remunerativo scopo sociale da Milano Pirola, di Cernusco sul Naviglio (conosce bene gli uomini della piazza il Silvio Sardi), in unione ad Angelo Sirtori, Giuseppe Morandi e Massimo Bernini. Gente la cui età oscilla tra i sessanta, come vuole l’antica tradizione dell’esperienza nel disbrigo e nella conduzione degli affari.
Nel 1956 colpo a sorpresa. Vengono nominati due amministratori. L’uno è Ripamonti Camillo, Sindaco (a vita) di Gorgonzola, uomo di stretta osservanza nella corrente DC di “Base”, fedelissimo dell’Ente Nazionale Idrocarburi, parlamentare vivace e scalpitante che miete voti nel lodigiano, ministro attualmente per la Ricerca Scientifica, dopo essere stato parlato alla Sanità, lui, ingegnere anche se non praticante.
L’altro è Ernesto Vigevani, consigliere di tante società del metano ad intrallazzo misto, buono in tutte le salse suggerite dalla fantasia fervida di qualcuno: da quelle rette dal Sardi a quelle rette da Bruno Manenti, sino a quelle pilotate in sordina dal Ripamonti: segno palese che una derivazione, un ascendente comune deve esistere tra questi personaggi che sembrano sempre in cerca d’autore o ne suggeriscono il rimando)
Particolare non trascurabile: questi due amministratori sono designati a durare in carica per tutta la durata della società. A distanza di pochi mesi tanti ne vanno dal 4 marzo al 3 maggio di quest’anno di grazia metanifera 1956 secondo colpo di scena. Ripamonti e Vigevani danno le dimissioni, nonostante l’investitura a vita (dell’azienda) in precedenza loro assegnata.
perché mai? Un mistero presto svelato: il nome di un Tizio (anche illustre), destinato a raggiungere il dicastero della ricerca scientifica, o di altre menti eccelse, non è sempre opportuno evidenziarlo nel contesto di attività che potrebbero risultare poco smarginate dall’incarico pubblico.
Saggio ripensamento. Tanto più che gli uomini di paglia da coprire il vuoto non mancano davvero sul mercato. Nel 1960 pertanto, e dopo la fugace apparizione di tale Adolfo Zurloni, entrano al posto dei dimissionari la Malegori Maria, fiduciaria del Sardi e, nel ’64, il Sardi Silvio stesso. Questi, inutile dirlo, trasferisce la società nel feudo (più sicuro?) di Cernusco sul Naviglio.
Il Ripamonti ha scelto l’ora e il modo per uscire dalla società, dove avrebbe avuto vita lunga e tranquilla.
Nel nostro zizzagare per la città alla ricerca delle “s.a.i.m.”, siamo giunti ora in via S. Marco, 26, dove per chi non lo sapesse c’è il quartier generale proprio di Camillo Ripamonti, non ministro di ricerca, ma protagonista di (ricerca e) sfruttamento di idrocarburi gassosi. Vediamo le non molte anonime che riusciamo a incontrare.

“Crem-Orobica”
Una società a responsabilità limitata costituita nel 1955 con un capitale irrisorio ma con uno scopo preciso di sicuro investimento: costruzione di reti di metano. Ripamonti, lo si intuisce facilmente, non può scoprirsi troppo. Tanto vale allora esporre inoffensive figure che non hanno volto pubblico, cariche nel partito, velleità di giungere magari alla poltrona ministeriale. Un Vanelli Enzo in qualità di Amministratore Unico può andare egregiamente. Tanto più se è già addentro nel mestiere risultando consigliere già della “Sime Impianti metano” di Crema (anche di essa ci occuperemo).
Il Ministro specializzato nella ricerca sembra aver preso gusto alla distribuzione e compravendita deI prezioso minerale tanto è vero che ci prova, magati col Vanelli) a costruire metanodotti, una attivita che deve senz’altro considerarsi produttiva e di sicuro avvenire. Allo stesso indirizzo, infatti, ne sorge un’altra

“VI – MA”
È appunto con questa sigla un po’ insolita che agisce una società per Ia distribuzione, rivendita di carburanti e lubrificanti (anche questi ultimi entrano nel raggio d’interesse deI metano).
L’azienda avrebbe dovuto magari chiamarsi “Ri-Vi-Ma” (Ripamonti, Aligevani, Manenti). Invece Camillo Ripamonti ha preferito estraniarsene. Nel marchio appaiono (sottintesi) soltanto il Manenti per quanto amministratore unico figuri il solo Ernesto Vigevani.
La “VI – Ma” è una s.r.l. costituita nel ’55 e collocata a quell’epoca al quartiere, appunto, Ripamonti (ricerca metanifera), in via S. Marco. Capitale: lire 500.000. Nel 1960 la società si trasferisce in via Brera, amministratore unico sempre il Vigevani, ombra – sicuramente – del Ripamonti, e che agisce anche per conto di Bruno Manenti.

Molteni – Industria Combustibili Fluidi, liquidi e solidi
Che coraggio: stavolta la società è per azioni. Sorta nel ’64, aveva sede a Busto Arsizio. Si propone anche l’esercizio di officine per il gas e risulta abbastanza consistente (200 milioni di azioni: chi mai ne avrà la maggioranza? ).
L’hanno escogitata per primi i signori Ghidoli (Pasquale e Tullio) di Vittuone; il solito Giuseppe Maffei (della capintesta Metaniferi Alta Italia); Ernesto Vigevani di Cortemaggiore, dove in un tempo favoloso sgorgò il petrolio italiano, (ora esaurito), socio del Ripamonti (per quante stagioni?); Bruno Manenti che seguitiamo a citare senza specifiche qualific
azioni, dovendo più in là incontrarlo in diretta.
Nel 1967, esaurita la funzione, escono Maffei e Ghidoli: il primo magari si prepara ad altre sortite, mentre il secondo torna nel nulla, la penombra che abbiamo attraversato e dalla quale siamo partiti. Nel 1969 il superstite dei Ghidoli, Pasquale, diventa Presidente con il Manenti Bruno consigliere delegato e l’Ernesto Vigevani procuratore. Nel collegio sindacale: Aldo Ferrazzi, Leonardo di Clemente, Giuseppe Locati.
A questo punto lasceremo il metano (che fa marciare le industrie italiane e tanta (troppa) gente dietro facili guadagni) di Ripamonti, che non perderemo tuttavia di vista. Ci capita ora di incontrare gli aItri gruppi di questa ricca ricerca di giacimenti e distribuzione. Primo fra tutti, quello di Salanti e compagni, sempre nell’offensiva metano.

Metanifera Sommese
La costituisce sempre il notaio Cellina nel 1958, con appena un milione di capitale, destinato a salire agli attuali 100 milioni. L’oggetto è qui dilatato. Non si accenna più soltanto a compravendita di idrocarburi, ma del loro trasporto e della relativa distribuzione, con l’aggiunta di generici affini. Gli impianti sorgono a Somma Lombardo.
La società è ideata e composta dai signori Salanti Umberto nome e garanzia , nobile (ma realista) Visconti di Sanvito Alberto (vecchia conoscenza), oltre all’immancabile Giuseppe Maffei, l’uomo di Pinzolo, giunto sulla soglia dei settanta. Nel 1961 il posto deI Maffei lo occupa Enrico AristoAureggi, il quale fa salire il capitale, appunto, a cento milioni.
L’Aureggi è titolare di parecchie immobiliari ed è socio in affari -tra Aristo(cratici) e Visconti – conil Sanvito; garantisce per lui il Salanti. Nel 1961 si fa avanti Ermes Visconti, figlio dell’Alberto einteressato con l’Aureggi nel “Consorzio Produzione Latte” di Gallarate.
Nel 1963 la società si sposta in via Dandolo, dove abitano – casualmente – Cefis Eugenio e SalantiUmberto. Entrano poi nel ’66 Bruno Manenti, Ernesto Vigevani (e Turati Francesco). Nuovo trasloco,stavolta nel quartiere Ripamonti, in Via San Marco; si provvede (ed è facile arguire chi sia il deus exmachina della faccenda) ad anonimizzare il consiglio di amministrazione, affidandolo a certi LoffiBruno di Trento, Pietro Rainoldi di Milano, Macconi Corrado di Piadena.
Infine la società è trasferita a Cremona. Operazione che non si avvale del placet del collegio deisindaci, composto da Aldo Ferrazzi, Francesco Branduardi e Luigi Olmi.

I terzi delegati

Getteremo adesso uno sguardo alle strutture e ai quadri dirigenti di altre attività metanifere, legateal nostro assunto da trasparenti legami di continuità logica (e finanziaria). Saranno i terzi, ai quali si rivolge l’azione accessoria e di rincalzo della nobile società.

“Metanifera Martesana”
Vecchia azienda che si chiamava nel 1926 “Anonima Gas Santa e Villa San Fiorano”, per laproduzione e distribuzione di gas. Ed è con certi notissimi protagonisti Tronconi, Fontana, Pessina,Cereda al di fuori deI nostro spazio di intervento, che troviamo un Antenore Maffei, d’ufficioimparentabile con il nostro Giuseppe (Maffei).
Trascuriamo gli anni che vanno sino al 1945, del tutto assenti da questa storia così recente. Nel ’46 appare Silvio Sardi quale amministratore Evidentemente le sueconoscenze con Cefis (e Mattei e la DC) risalgono a quel tempo e si riveleranno preziose.
Nel ’55 l’“Anonima Gas” cambia denominazione e diventa “Industria del Gas”. Una autenticaindustria che esce – si fa per dire – dall’anonimato, accomandatario il Sardi stesso e accomandantela moglie, Rosalia Corazzi. Nel medesimo anno questa “Industria Gas” si fonde con la “Metanifera Agratese” e con la Metanifera di Carugate, dando origine all’ultima metanifera, la“Martesana”, con sede tassativa a Cernusco sul Naviglio. Nel 1962 primo colpo di timone: entra la“Sarfin” (dello stesso Sardi, società per “le partecipazioni industriali e commerciali”, cui siassoceranno in seguito Meda, Piredda e compagni; la “Sarfin” diventa accomandante).
Due anni più tardi aItra impennata: subentra quale accomandatario la “Metanifera Milanese”dell’israeliano (deceduto nel 1969) Navoc Isaac, non sappiamo per conto di chi. Altre notevolivariazioni: nel ’64 entra d’Orta Gaetano, con procura di Salvatore Calise (persona di fiducia delSardi); nel ’66 e nel ’68 entrano Piredda Salvatore, Malegori Maria, Starace Ercole, GugliottaEdoardo, Jaretti Mario e Galbiati Giuseppe. Nel ’69 si dà favore e procura al solito Vaccari Antonioe Matteo Albanese, mentre cambiano aria il Galbiati e altri.
Le tappe societarie sono dunque complesse, tutte curiosamente condotte tra il Naviglio (che toccaCernusco) e la Martesana (ora coperta) a Milano. Il gas tanto ricercato e distribuito viaggia peròtranquillamente lungo i suoi tracciati, incanalato bravamente e regolarmente introdotto nelle case enelle fabbriche. Il prodotto è ottimo, dicono, la rete di consegna e recapito funziona a perfezione. Gliaffari, nel campo degli idrocarburi gassosi, prosperano come non mai.
Bisogna però rendersi conto dell’aspetto istrionesco di una gestione polivalente che imponepassaggi di proprietà, rilascia e ritira procure, scegliendo con oculata astuzia uomini, quadri eindirizzi, ampliando i capitali, fissando le quote e il dosaggio di accomandatari e accomandanti. Iltutto senza che nulla di sostanziale sfugga di mano o senza che le cose mutino più che tanto.
È la legge risaputa della mafia economica, per assicurare stabilità e discrezione alle proprie imprese, garantendo tangenzialmente agli addentellati quei contributi che si rivelano vitali almeno nel campo dei partiti politici, nella DC in ispecie.
Il gas c’è, anche se non basta e bisogna importarne dal Marocco o dalla steppa russa. Bisogna saperlo sfruttare ed estenderne i benefici nel più largo sistema di distribuzione politica possibile.
Il discorso è piuttosto lungo, la rete di società è assai vasta. Le implicazioni – cioè il tema che conta agli effetti della nostra inchiesta – interessanti, tanto da doverle riprendere.

Questo è Cefis (pp. 221-238) – segue

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Questo è Cefis 17

7 giugno 2009
Le varie ed eventuali del cavaliere d’industria
di Giorgio Steimetz

Gaetano Baldacci qualcuno lo ricorda? e morto da pochi mesi. Nel silenzio più fitto, lui che aveva sollevato un enorme baccano quando decise di mettersi contro Mattei, fornendo rivelazioni clamorose dalle colonne di “ABC” il settimanale in edizione antemarcia (da non confondere con l’attuale malinconico foglio erotico a poco prezzo).
Baldacci è scomparso tra l’indifferenza di tutti coloro che egli, al tempo in cui dirigeva “Il Giorno”, aveva contribuito a valorizzare, ad elevare sui prefabbricati piedestalli dell’impero petrolifero italiano Eugenio Cefis, tra gli altri, pochissimi.
Non poteva accadere diversamente. Polemista vivace e sfortunato, il Baldacci reagiva al dispotismo (accettabile) di Mattei, attaccando con virulente ma solide argomentazioni, lo strapotere del cane iI sei zampe e dei suoi padroni, la conduzione accentratrice del matelicano, il sottogoverno finanziario più robusto d’Italia.
La gang di quel tempo scovò al momento opportuno una buccia di banana per l’ex direttore del quotidiano (di Stato), “Il Giorno”: l’affare Bazan. Ma mentre le volpi come i Lagumina e i Bolaffi – seppero tirarsene fuori con qualche ustione superficiale, il Baldacci ne restò annientato, come giornalista ed editore oltre che come uomo, insieme, ovviamente, a Carlo Bazan, presidente filatelico e distratto del Banco di Sicilia.
I ras dell’ENI e la mafia che li circonda risultano temibili, vendicativi sino in fondo, implacabili. Chi toccava Mattei, trovava del piombo (salvo il trapezista-principe del piombo tipografico, quel Montanelli al quale, allora come oggi, era concesso trasmigrare da un partito all’altro e scannare i Boiardi in effigie su qualsiasi tribuna; passando per profeta dell’ora e da malvagio bienfaisant).
Prima o poi chiunque veniva messo a tacere, ridotto alle corde, costretto alla macchia; amabilmente sconsigliato di perseverare in un errore a catena. Quando beninteso non si trovava un tempestivo tranello da tendergli e tutto finiva lì.
Chi tocca Cefis oggi (ma direbbero in Francia il faut toucher du bois) non ha miglior fortuna. Il grand’uomo si trova all’apice della carriera, passa per manager geniale ed eccezionale o per economista di vaglia; è amico dei potenti all’est come all’ovest, in tutti i sensi dei meridiani politici interni e internazionali; condiziona alcune leve essenziali del potere in Italia e in definitiva può fare quel cavolaccio che vuole

L’industriale double – face

Dispone inoltre di un esercito di funzionari, di mezzi d’informazione, di centri d’opinione privati e di Stato, di occulte protezioni che lo sostengono e (magari a malincuore) lo riveriscono; si assicura favori e silenzio commissionando spazi pubblicitari. Il potere religioso, specie a Roma e a Milano, è dalla sua parte. Si è liberato delIe ombre del passato: Mattei prima, quando un malaugurato incidente lo tolse di mezzo, rientrando il Cefis dal portone dopo che l’Enrico, da vivo, l’aveva debitamente defenestrato.
Ha il vento in poppa e sa veleggiare a diversi nodi l’ora. Si dice che faccia l’interesse dello Stato. La verità che nessun Baldacci scriverà mai e che non perde tempo anche a farsi gli affari suoi, con un impegno, una astuzia, una caparbietà da lasciare sgomenti. Poco male sarebbe curare la res pu-bli-ca e le cose domestiche: se non accadesse che la prima ramifica l’altra, la sviluppa e la premia, a suon di miliardi.
Viviamo ancora in un mondo di sperequazioni. C’è gente che puntualmente, a dispetto del progresso galoppante, crepa di fame. Un milione di disoccupati in Italia segna il declivio della recessione. Assistiamo al grigio spettacolo di chi domina con l’ingordigia del capitale, con la sopraffazione delle azioni di maggioranza. Gente che non può dirsi sazia se non risultando concessioni agli altri.
Quanti sono costoro nel nostro Paese? Meno certamente di quanti si possa immaginare. Ma Eugenio Cefis in graduatoria supera di alcune lunghezze i Falck, i Pesenti, i Pirelli, gli stessi paradigmatici Agnelli. E non tanto perché rappresenta l’ENI (vogliamo convenire che all’Ente Idrocarburi pesa sempre il suo zampone: sennò perché passerebbe le mezze giornate anche adesso nell’ufficio distaccato dell’ENI, di fronte a casa sua, al civico 14 di via Borgonuovo?): e con l’ENI lo Stato; o con la Montedison, mezzo Stato. Cefis emerge piuttosto perché in definitiva è un industriale privato dei più potenti e agguerriti, ramificato nei settori di mercato più svariati.
Abbiamo infatti citato le sue partecipazioni in società immobiliari; ne abbiamo rilevato gli interessi in piantagioni canadesi e le forme d’intervento in campo commerciale e produttivo, attraverso entrate di comodo nelle società da lui intestate a congiunti, amici, alla stessa segretaria. Abbiamo segnalato le finanziarie-paravento del Liechtenstein; le imprese metanifere, petrolifere e affini del suo giro personale. Abbiamo poi evidenziato le superbe ramificazioni del suo capitale privato che coprono spazi dalla plastica alla gomma, dal legno alle cerniere lampo, dalle sedie ai tessuti.
I suoi beni personali invece non ci interessano molto: un jet, due (o venti) residenze in città, al lago, ai monti; l’hobby costoso delle tavolette votive, intestazioni preziose a parenti, fanno parte del clichè per un uomo arrivato, per un distinto e rispettabile possidente. D’accordo: vigilare gelosamente sui propri beni ed essere avaro (come lo è lui), non corrisponde a dettami evangelici, ma rientra nel costume. Lo diciamo incidentalmente per quei religiosi la cui amicizia sa sfruttare e che tanto volentieri ne vantano l’amicizia.
Di Eugenio Cefis ci interessa invece la corsa agli investimenti, in un momento in cui gli altri mollano) o per paura di perdere tutto (se il corso politico mutasse rotta), o per non rischiare troppo. Lui questo lo sa, e punta sulla debolezza degli altri. Perché resistergli se lo Stato – la forza – è lui, se Colombo e Carli, Moro e Piccoli, e ogni altro notabile che conta in Italia si disputano un posto al suo fianco?
L’impero di Cefis. Una battuta per chi ignora le dimensioni e la solidità attuale di Eugenio 1°. Il fisco lavora con lui adoperando cannoni a retrocarica, di rappresentanza; proiettili decorativi che tutt’al più rimbalzano allegramente su certe corazze. Le frontiere non gli oppongono eccessive restrizioni, se può tranquillamente collegarsi col capitale estero.
La delimitazione tra sfera pubblica e iniziativa privata è vaga ed inconsistente, tanto nessuna voce a destra o a sinistra lo inquieta sull’argomento. Pochi mesi nelle brigate partigiane gli hanno offerto il necessario benservito di Alexander e un investimento morale di altissimo tenore produttivo.
Proseguendo nella nostra inchiesta, offriamo stavolta qualche modesto saggio d’interesse evidenziato in altrettanti significativi richiami.

“Banca Manusardi”
È stata costituita come società per azioni nel 1949, ma la scalata di Cefis perché pare proprio ci sia stata reca una data più recente, l’aprile 1961, il 26 per la precisione, quando entra nel consiglio di amministrazione quel dott. Luigi Padoin (ufficio in via Donizetti, 32 dove hanno sede molte società, per lo più in accomandita sempl
ice perché immobiliari, da Cefis fiduciariamente amministrate; e abitazione in via Dandolo, 4, dove abitava lo stesso Cefis). Il dott. Padoin lo ritroviamo in diverse società del giro.
Nel 1963 altro colpo d’acceleratore: il nostro piazza nel consiglio di amministrazione anche Carlo Pietro Viglio (ufficio in corso Venezia, 24, dove esiste un cospicuo pacchetto di società sicuramente controllate o appartenenti al Cefis). Il figlio è notoriamente uomo di fiducia e compagno d’iniziativa del capo nel settore degli adressari sistematici, della gestione di centri elettronici (magari Montedison compresa), affidata all’Adolfo Cefis.
Ancora: nel 1970 fa il suo ingresso Umberto Salanti, anch’egli con indirizzo in via Dandolo, 4, associato nei campi metanifero e di investimenti diversi. Il consiglio di amministrazione però non basta: occorre controllare i conti. Perciò è opportuno trovare un posto nel collegio sindacale a quell’egregio Roberto Perego, grande amico di Sergio Casali, a sua volta fiduciario del capo.
Perego e Casali infatti sono nella “Sisbi” insieme per i brevetti industriali (con eventuali vendite assicurate). Tanto il Perego (amministratore unico della “Elicem”, di via Dandolo), che il Casali (sindaco della “LSPN” di Cefis e amministratore della “Sischi”, una diavoleria di natura chimica, di cui il nostro sa qualcosa), sono benestanti in proprio, godendo di credito assai ampio dal Presidente della Montedison.
Non saremo talmente ingenui da considerare accidentale la presenza di tre uomini nel consiglio di amministrazione e di due sindaci nel collegio dei revisori: se esistessero dubbi motivati, basterà controllare un poco le azioni della Banca Manusardi, compito per noi impossibile, ma facile per chi indaga con tanto di delega e mandato.
Nel carnet di Eugenio Cefis non poteva mancare un istituto di credito, l’arte di guidarla (a distanza) l’ha appresa alla Banca Commerciale Italiana, di cui è consigliere. Uno strumento di tanto peso, eppure così discreto, serve benissimo alla causa.

“LSPN – Pubblicità Nazionale”
Non ci risulta che l’on. Piccoli, in Parlamento, abbia ammesso l’appartenenza all’ENI (come invece ha fatto per l’Agenzia “Italia”) di questa impresa di pubblicità, benché essa lavori proprio e quasi esclusivamente per le fortune (reclamistiche) della potente benzina Italiana.
Nei margini di tempo libero che son parecchi la LSPN studia, progetta, lancia e assiste certe campagne che con il fine istituzionale dell’ENI nulla hanno da spartire, ma riguardano un settore tra i più delicati dell’attività (benefica) di Eugenio Cefis, settore, confidatogli sicuramente non dal braccio secolare, ed in cui egli o paga di tasca propria o può permettersi di non pagare affatto. Trattandosi di opere buone, non indugeremo oltre, per ora.
Comunque se la “Linea Società Pubblicità Nazionale” non appartiene all’Ente Idrocarburi, deve arguirsene la proprietà riferita al Cefis stesso, il quale per il campo dei persuasori occulti e dei messaggi di interdizione e conquista psicologica mostra un’autentica passione.
Ne è talmente infatuato da credere seriamente che la concorrenza alle Sette Sorelle si possa fare in Italia affidando a Raffaella Carrà il ruolo di Ninfa Egeria degli automobilisti del nostro Paese. Qualcosa (nei Big Bon) è possibile comprare, e a buon prezzo, seguendo il consiglio (disinteressato) della simpatica vedette, ma non proprio tutto.
Tornando alla “LSPN”, notiamo la sede a Milano, in via Passerella. Costituita nel 1961, vede due anni dopo la nomina a presidente del dott. Vittorio Guerrieri, il quale risulta già interessato alla “ Compagnia Trasporti Speciali”, di cui attualmente è membro del Collegio sindacale I rapporti indiziari con questa Compagnia da parte di Cefis li abbiamo citati a suo tempo.
Sempre nel ’63 entra un uomo di fiducia, Vittorio Olcese, figlio dell’ex cotoniero, Achille. L’Olcese della “Viotto” legnami, della “Formenti”, della “Fibre Tessili”, dell’“Editrice Arte Moderna”, delle immobiliari “Clark”, “Palamos”, “Naviglio”, e di altre società.
E’ vero che nel tempo sia l’Olcese che il Guerrieri escono da questa prospera azienda pubblicitaria, nella quale Cefis è di casa, da affezionato intenditore. In compenso viene costituito un collegio sindacale di stretta sua osservanza, con l’Eugenia Airoldi (imparentata con Pietro Carlo Viglio, accomandataria “Grober”, ex titolare “Editorial” passata poi al Caprotti), donna di sicure virtù economiche, cliente abituale del Liechtenstein per Ie combinazioni societarie; con il Bruno Fregoni (consigliere “Lanerossi” e sindaco di quella “Union Produzione Cinetelevisive” di cui parleremo fra poco); con Sergio Casali, infine, di cui abbiamo da poco tessuto gli addentellati col “giro”.
La storia di questa società, il fatturato, il numero dei dipendenti, Ci interessano solo marginalmente. A noi preme farne accertare la proprietà.
Se fosse dell’ENI, ci chiederemmo perché sia un dominio di Cefis, e perché certe campagne pubblicitarie – di cui offrono probante testimonianza i muri, gli autobus di Milano, e gli inserti sui giornali—finiscano in definitiva pagate daI contribuente, trattandosi di affari che con l’ENI non hanno niente da vedere se non dal lato finanziario.
Se invece dovesse risultare di proprietà di Cefis, come ci sembra, chiediamo come mai essa abbia in esclusività (o quasi) la pubblicità ENI. Il che sarebbe doppiamente immorale. Da qui non si esce.

“Union Produzione Cinetelevisive”
Brancoliamo nel più fitto mistero, osiamo confessarlo apertamente. Non certo per qualificazione di personaggi, bensì per durata (di essi). Gli uomini: Franco Fusco (titolare, col figlio Sergio, della immobiliare “Papanco”); Carughi Giovanni Luigi (forse il tecnico nel consiglio di amministrazione); finalmente quel Tullio Silvestri, vecchia conoscenza per quanti ci hanno sinora seguiti, nonché del Dott. Cefis; sindaco della “Italo Americana Prentice”, consigliere della “Pro. De.”, poi “System Italia”; in proprio è titolare della “Produzione Fotofilm” e dispone della “In. Im. Par.” (Investimenti Immobiliari Partecipazioni Commerciali e Industriali).
Se queste sono le colonne del consiglio di amministrazione, non meno significativi sono i nomi del trio sindacale: Carlo Pietro Virgilio, Fregoni Bruno (quello della “Lanerossi”) e Padoin Luigi
quello di sempre, come il Viglio). Come mai e qui sta il lato oscuro della faccenda a distanza di poco tempo dalla fondazione, dopo appena tre esercizi, la produzione di film e il relativo commercio per il cinema e la televisione, nonché l’attività di documentazione e pubblicità, sono cessate di colpo?
Dopo aver messo, il 19 gennaio 1968, ben 160 milioni di capitale a disposizione; dopo aver assorbito in precedenza la “Unionfilm”, dopo aver mutato in quella odierna la vecchia denominazione (“Union Cartons”), la società chiude i battenti. Dove sia confluita, dove sia finito il capitale, rimane mistero. Cefis ha bensì il raptus della pubblicità e dei suoi addentellati. Quale altra diavoleria avrà escogitato per buttare ai pesci la “Union Produzione Cinetelevisive”?
Per appurarlo, senza correre il rischio di affrontare uno sdegnoso silenzio da parte dell’interessato, sarà necessario qualche supplemento paziente d’indagine, o qualora il fisco volesse metterci mano, qualche indiscrezi
one.

“Fibre Tessili Artificiali”
Per induzione, dovremmo attribuire questa società agli amici di Cefis anziché al nostro bravissimo imprenditore pubblico-privato. E’ la ragione sociale che ci lascia nel dubbio: possibile che lui abbia messo lo zampino in un affare che riguarda la produzione, confezione e stampa di trasparente di viscosa e neotene accoppiati? La società è consistente abbastanza per giustificare un certo appetito (1.260 milioni di capitale), però anche i suoi amici hanno il diritto di farsi gli affari loro.
A parte queste riserve di principio, è interessante elencare gli uomini che gestiscono questa azienda. Vittorio Olcese e Luigi Padoin nel consiglio di amministrazione, in aggiunta a diversi Roncoroni, ad un certo Giorgio Illes e al padre dell’Olcese, Achille; Umberto Salanti e Attilio Grosselli (con Anacleto Motta), nel collegio sindacale.
Abbastanza per fugare i dubbi espressi all’inizio, conoscendo quel volpone di Cefis che manovra uno stuolo di (degnissime) teste di turco e potrebbe disporre a suo piacimento (crediamo) anche della “Fibre Tessili” Un po’ di cautela tuttavia non guasta, anzi è di rigore, in ossequio all’onestà.

The stars look down

Daremo ora, quasi come un intermezzo per rompere la monotonia di nomi sempre uguali e ricorrenti, un elenco di aziende in cui rimbalzano tanto per cambiare i soliti amici del capo-clan. Ripetiamo: può essere che tali partecipazioni siano di persona, non in qualità di prestanomi di Cefis stesso. Così come potrebbe essere vero il contrario.
Anche per queste società sarebbe utile un supplemento di indagini, a cura e iniziativa di chi può ed anzi deve far luce: stelle che stanno a guardare, come neI titolo originale di un teleromanzo allusivo e fortunato di Archibald Cronin. Guardano, insomma, ma probabilmente non vedono.

“Sacit”
400 milioni di capitale, per l’industria e il commercio di biancheria e di maglieria per uomo. Nel consiglio di Amministrazione: Vincenzo e Vittorio Polli (il primo anche nella “Formenti”, nella “ Fibre Tessili” e nel “Calzificio Ciocca”); in più Giuseppe Lanfranconi. Nel collegio sindacale: il solito Luigi Padoin, l’Attilio Grosselli e l’Umberto Salanti; un trio perfetto per il necessario controllo. Con o senza garanzia (apparente) del bel tenebroso alla finestra.

“Calzificio Milanese Luigi Ciocca”
Nato – è il caso di dirlo – nel 1942 come “Fides Romana Films”, ad opera di certo Alfonso Scannone, diventa tale nel 1949, con lo scopo di provvedere alla produzione e al commercio di calze e affini. Nel giugno 1970 il capitale aumenta ad un miliardo. Nel consiglio di Amministrazione: il Vincenzo Polli (meglio specificato più sopra); il Vittorio Olcese, caro al ras del metano e della plastica; il Giuseppe Ciocca, socio di Attilio Grosselli nella “Società Imprese Agricole e Gestioni”.
Nel collegio sindacale invece: il Luigi Padoin, uomo di Sacile, coinquilino del Capo, vecchio compagno d’avventura in imprese industriali e commerciali; Attilio Grosselli, accomandante e accomandatario in tante strane società; Sessa Alessandro, un probabile controllato dai due controllori citati, e quindi inoffensivo.

“Soc. An. Virginio Rimoldi & C.”
Come la precedente (per pura coincidenza? ) ha preso le mosse da una azienda cinematografica, la “S.A. Films”, nel ’35. Attività: commercio di macchine speciali per cucire e dei relativi accessori e pezzi di ricambio (preziosi, come i membri del consiglio di amministrazione, e intercambiabili come loro).
.Nel 1937 fa l’apparizione Umberto Salanti in qualità di procuratore. Nel ’65 curiosa fusione con la “ Lesa Immobiliare”, mentre aumenta il capitale. Nel ’60 entra Carlo Kaiser: socio con Umberto Salanti e Alberto Visconti nelle “Fabbriche Industrie Riunite”; socio con gli stessi nella Investment Casting Italiana e per la fusione e microfusione dei metalli (che spazio di competenze e che sfere di interessi).
Nel ’66 fa il suo ingresso Luigi Padoin (poteva mai mancare?) e il capitale arriva a due miliardi. Nel consiglio, altre presenze d’un certo interesse: Luigi Lovati (socio anch’egli della “Investment Casting Italiana”), Umberto Garbagnati, il cui nome ritroveremo con simpatico ricorso nella “Metanifera Alta Italia”. Collegio sindacale: Roberto Perego (sindaco della Banca Manusardi, socio di Sergio Casali nella “Sisbi”, amministratore della “Elicem”: uomo di famiglia, insomma); Aragnetti dott. Pier Giorgio; Jorio Franco (quest’ultimo nella Banca Manusardi, pure).
Si può far rientrare nell’orizzonte-Cefis la “Virginio Rimoldi”? Alcune precise condizioni di nomi – farebbero credere che il nostro non è estraneo all’affare. Può comunque trattarsi di pura coincidenza. Noi abbiamo segnalato una pista che può rivelarsi, come altre, sbagliata, ma altri potrebbero, approfondendo la cosa, scoprire interessanti diramazioni.

“FIR – Fabbriche Riunite di Casalmaggiore”
Il capitale: 250 milioni. Il consiglio di amministrazione vede Umberto Salanti che ritroveremo in diverse società del ramo metanifero; Carlo Bergamaschi e Carlo Kaiser (compagno del primo). Lo scopo sociale: fabbricazione e commercio di bigiotteria, occhiali da sole, forniture industriali, motori. Tra le patacche in similoro (e le lenti azzurrate), e gli ingranaggi dei motori, corre una bella differenza. In ogni modo la versatilità produttiva non è un reato.
Comunque rivediamo nel collegio sindacale Roberto Perego, Pier Giorgio Aragnetti (socio con Angelo Salanti nella “Immobiliare Ripamonti”, sindaco anche della “Rimoldi” ) e il geom. Giovanni Bottarelli, gia sindaco nella immobiliare “Dana Aedes” di cento milioni di capitale, della quale è oggi amministratore unico il Roberto Perego. Nomi che ricorrono con monotonia, tanto da stancare il lettore e – prima – il cronista; ma che hanno probabilmente poche od una sola matrice in comune.

Sfuggenti fisionomie di una mafia

Abbiamo citato naturalmente solo i nomi e le imprese di un quaIche rilievo, degne di una certa attenzione, fra tanti molteplici indirizzi che le nostre ricerche hanno accumulato in redazione. Abbiamo ricordato poche società fra quelle assegnate nel “Chi è?” della Finanza Italiana ad un Umberto Salanti o ad un Luigi Padoin. Autentici mostri di attività, ragni che tessono con discrezione, successo e coraggio, ma che conoscono anche l’uso sapiente delle società in accomandita semplice, di cui nessun libro o registro darà mai gli estremi. Salanti e Padoin, con pochi altri tra cui Carlo Pietro Viglio, conoscono vita e miracoli di Eugenio Cefis. Gli han fatto, all’occorrenza, testa di ponte o scudo; lo hanno autorevolmente accompagnato nella escalation di tanto potere. Via Dandolo, 4: il recapito di uno tra i più agguerriti e compatti trust di cervelli, con diramazioni estesissime sul mercato della produzione, del commercio e del credito.
Noi non pretendiamo farci forti usando il linguaggio populista e melodrammatico di oggi: siamo però convinti che esistono mafie politiche e associazioni a delinquere, ma anche onoratissime società di natura economica-finanziaria non meno temibili, anche su diverso piano, di quelle. Nei riflessi, diciamo, della moralità dello Stato, del rispetto al contribuente, delle sperequazioni ancora esistenti, della discriminazione fiscale.
Verso tutti questi valori la mafia finanziaria manifesta sdegnosa sufficienza, quando non condiziona lo stesso potere politico. Se
dobbiamo ogni giorno assistere allo spettacolo indecoroso di gente che manovra milioni con la stessa disinvoltura da noi usata destreggiandoci con le monetine da cento, potremmo arrivare ad una conclusione tanto frettolosa quanto manichea.
Ma se pensiamo che l’imposta di Eugenio Cefis è di lire 7.632.000, su un imponibile valutato appena 53 milioni l’anno, e consideriamo che un accertamento più rigoroso e imparziale potrebbe moltiplicare per cinque o per dieci codeste cifre (o su livelli ancora più alti): allora viene spontaneo auspicare l’introduzione in Italia, oltre al divorzio, del sistema maoista dei Fiduciari (incorruttibili) nelle aziende di assoluta proprietà dello Stato.
Cefis allontanerebbe annoiato, come tante innocue zanzare, pensieri molesti (e villani) come i nostri, se gli giungessero all’orecchio (e gli giungono) Non ammette in genere, per stile, tradizione e costume, di sentirsi contraddetto. Si crede un semidio e trova fedeli osservanti per questo suo culto della persona. Se tutti gli danno retta, e ovvio che finisca per convincersi di aver perfettamente e abitualmente ragione.
È saccente, tiene a distanza i villani, si lascia appena ossequiare. Ma in Italia lo applaudono ad esempio. L’economia nel Paese
come avvertono gli studiosi e i politici seri va piuttosto male, se non a rotoli, ma lui accantona miliardi senza faticare molto visto il numero di utili idioti che lo favoriscono. Tra non molto, se va male, chiederanno la testa dei capitalisti che affamano iI popolo una storia tanto vecchia quanto triste.
Ma Cefis non rientra fra i padroni. Lui è l’industriale di Stato, un funzionario regolarmente stipendiato. Anche se percepisce ufficialmente qualche milione di lire al mese, rimane tuttavia un dipendente: contro iI quale nessuna rivoluzione culturale chiederà il patibolo. Eppure questo mito non si può infrangere.
Baldacci è morto, due volte. Montanelli non è tanto votato al suicidio da prendersela con Cefis come ha fatto (malamente) con Enrico Mattei; deve badare a Venezia, giacché i signori Crespi, padroni anche loro, sono divenuti sensibili allo spazio pubblicitario. Lo spettacolo di connivenza passiva o interessata è indecoroso. Ma quante cose non vanno così in Italia? Le comparse, specialmente in politica, si agitano, ma i protagonisti hanno nervi di acciaio. Se la politica è divenuta figlia dell’economia, Cefis può stare tranquillo.
Lo sappiamo anche noi, continuando imperterriti a raccontare in un prossimo servizio i risvolti dell’interessante politica di Eugenio Cefis in materia di petrolio e di metano

Questo è Cefis (pp. 209-220) – continua

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